Bocciare i bimbi di sei anni? Orrore che segna per la vita

Ricevere un rifiuto in prima classe segna per sempre. Ed è un fallimento per il sistema scolastico

Bocciare i bimbi di sei anni?  Orrore che segna per la vita

All’Istituto «Giulio Tifoni» di Pontremoli, in provincia di Mas­sa, sono stati bocciati cinque alunni in prima elementare, nel­la stessa classe. Uno di loro è di­sabile. I genitori, una volta visti i tabelloni degli scrutini, hanno deciso di fare ricorso per chiede­re­l’annullamento dei provvedi­menti.
Le famiglie stanno pen­sando a una class action per chie­dere i danni al ministero del­l’Istruzione e ai dirigenti scola­stici. Tre dei respinti sono stra­nieri. 

«Cos’hai Nicola, dimmi cosa ti succede…» Ho faticato parecchio a ottenere una risposta, qualche giorno fa, dal maggiore dei miei figli, cinque anni e mezzo di età. Ero andato a prenderlo a scuola, ultimo anno delle materne, e l'avevo trovato severamente incupito, ai limiti del pianto. E poi, a casa, svogliato, chiuso in sé, con l'espressione tragicissima che può avere un bambino che non vede un futuro davanti a sé. Finalmente, poiché sa che alla mamma e al babbo si può dire tutto, è arrivato lo sfogo/confessione. Nella partitella di calcio pomeridiana i compagni l'avevano lasciato in panchina, accampando suoi presunti limiti tecnici.

Non occorre essere un pedagogista per capire che il suo dramma - dramma vero - non veniva dalla privazione del gioco, ma dall'essere giudicato inferiore agli altri. Inferiore: una tragedia nella mente di un bambino ancora incerto sulle proprie capacità, sul proprio valore nel mondo, e - purtroppo - bisognoso di sentirsi uguale anche in quella modesta attività che è il calcio. Una piccola tragedia, però, rimediabile con un po' di comprensione e di capacità genitoriale, in grado di spiegargli che ben altri sono i suoi meriti e le sue meraviglie.

Ma come si potrà confortare un bambino bocciato in prima elementare? Bocciato in prima elementare significa che il piccolo fa il suo ingresso nel mondo degli adulti (questo è la scuola) ricevendo un ceffone; gli viene detto - non dai compagni, ma dai Grandi - che non è abbastanza bravo in quella cosa che gli hanno spiegato essere la più importante; significa che rimarrà in quella scuola, ma con i bambini più piccoli, mentre i suoi compagni abituali, ormai una classe avanti, lo prenderanno in giro «per sempre»; che neppure i suoi genitori sono in grado di proteggerlo da una decisione tanto grave degli insegnanti, e che quindi i genitori sono deboli e impotenti, mentre gli insegnanti che non lo stimano sono forti e hanno ragione. Significa, per lui, che la sua vita è segnata: a sei anni.

Basterebbero queste semplicissime, ma concrete, considerazioni per dimostrare che non si può e non si deve bocciare un bambino nelle elementari. O meglio, lo si può fare in casi eccezionalissimi: quando si consideri che il danno portato allo stesso alunno sarebbe maggiore facendolo progredire alla classe superiore; o quando il danno che subirebbe l’intera classe, rallentata nell’apprendimento a causa di uno solo, sia tanto grave da valere il sacrificio di uno.

Anche in quei casi eccezionali, però, all’origine della bocciatura ci sarebbe prima di tutto il sistema scolastico. Il quale non avrebbe saputo valutare in partenza difficoltà tanto gravi da essere facilmente riconoscibili, come per esempio una totale incapacità a parlare l’italiano da parte di un bimbo straniero. Oppure un sistema scolastico che ha buttato incoscientemente, senza garantirgli un supporto speciale, uno scricciolo indifeso - e con qualche deficit - in mezzo a una classe di coetanei spietati come sono quasi tutti i bambini.

È evidente che, in quella scuola di Pontremoli, c’è stato un errore degli adulti responsabili. Perché non è statisticamente possibile che il caso eccezionalissimo si ripeta per ben cinque bambini in due classi, ovvero per un piccolo ogni dieci. Quei bambini o non dovevano venire accettati alle elementari, facendo ripetere loro un anno di gioco alla materna, o dovevano venire assistiti in modo speciale per tutto l’anno. O dovevano venire promossi.

E dire che nel sito della scuola Giulio Tifoni, quella in questione, si legge in bella evidenza questa dichiarazione programmatica: «La scuola realizza appieno la propria funzione pubblica impegnandosi per il successo scolastico di tutti gli studenti, con particolare attenzione al sostegno delle varie forme di diversità o di svantaggio. Questo comporta saper accettare la sfida che la diversità pone: innanzi tutto nella classe, dove le diverse situazioni individuali vanno riconosciute e valorizzate, evitando che la differenza si trasformi in disuguaglianza; inoltre nel Paese, affinché le penalizzazioni sociali, economiche, culturali non impediscano il raggiungimento degli essenziali obiettivi di qualità che è doveroso garantire». Alla faccia dei nobili intenti.

Che questo triste episodio avvenga proprio a Pontremoli, poi, assume un significato sinistro. L’amabile cittadina, infatti, non a caso sede del Premio Bancarella, è la patria di quegli eroici librai ambulanti che in tempi antichi e anche più recenti portavano i libri - la cultura - a dorso di mulo per decine e centinaia di chilometri. Scrisse Oriana Fallaci, alla nascita del Premio Bancarella, nel 1952: «Non avevano confidenza con l'alfabeto, ma “sentivano“ quali libri era il caso di comprare e quali no: in virtù di un sesto senso che, dicono, è stato loro donato dal demonio in un’ora di benevolenza». Chi, oggi, ha bocciato quei bambini ricorda piuttosto l'origine del nome della città: «Pons tremulus», ponte tremolante: com’era un ponticello sul torrente Magra e come è la loro guida verso la vita.

E allora ho una proposta.

Che i librai, organizzatori anche quest’anno del Bancarella, onorino il loro premio e i loro predecessori fornendo a quei cinque bambini un aiuto didattico in più per recuperare l’offesa subita. E, se non chiedo troppo, regalino agli insegnanti di quella scuola qualche bel volume di psicologia dell’età evolutiva. O anche soltanto sul buonsenso.

www.giordanobrunoguerri.it

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