Pubblichiamo il testo della lettera-reportage mandata in onda da Canale 5 ieri in prima serata e firmata dall’inviato Mediaset Toni Capuozzo. Il modo con cui l’azienda televisiva ha voluto augurare buon compleanno a Silvio Berlusconi.
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Caro Presidente Berlusconi, vorrei scriverle una lettera in occasione del Suo compleanno. Dico «vorrei» e non «voglio » perché mi prende un’incertezza: qualcosa mi dice che Lei non ama i discorsi d’occasione, le celebrazioni rituali, gli omaggi ingombranti. In più, avendo appena pochi anni meno di Lei, so che a un certo punto della vita i compleanni hanno un doppio sapore. Con i miei amici io me la cavo citando Maurice Chevalier – so che Lei ama la canzone francese - quando disse: «Invecchiare non è poi così male, considerata l’alternativa». Ma a proposito di francesi mi sembra più adatto a Lei ripetere quel che ha detto di recente Jean-Paul Belmondo, a chi gli chiedeva come e se guardasse al suo passato: «Jamais. Mai, io guardo avanti».
E dunque mi piace di più pensare ai prossimi anni, e pensare quali sorprese, Lei che ha sempre sparigliato i giochi, ci riserva. Rimedierò dunque non tentando un suo ritratto, o peggio tracciando un bilancio di un’età importante – non ne sono titolato, e avrebbe ai miei occhi di figlio di napoletano un sapore iettatorio – ma semplicemente dicendoLe quello che ha significato per me essere sfiorato dalla Sua presenza, avere avuto a che fare con Lei, sia pure a distanza.
Beh, innanzitutto sono un giornalista. Qualche volta mi capita, parlando a giovani che iniziano la professione o vogliono iniziarla, di sconsigliarli dal farlo, perché oggi tutto è più difficile, o almeno diverso da una volta. Ma con Lei è stato come dovrebbe essere sempre: mi ha assunto senza chiedermi nulla, in un tempo in cui altrove si entrava con le tessere di partito in tasca. Augurerei a ognuno di quei giovani di trovare un editore come Lei, che ha giudicato, senza sconti, valore e capacità di fare ascolti. Era tivù commerciale, come si diceva una volta? Non starò qui a dire quello che tutti vedono e cioè come le Sue televisioni abbiano cambiato la televisione, le abbiano tolto il gesso, abbiano fatto compagnia a milioni di persone, in tempi di canone in bolletta, senza chiedere nulla in cambio. Quanto all’informazione, beati il commercio e il mercato, che rendono liberi e non richiedono fedeltà ideologiche. Lavorare nelle sue aziende per me ha significato questo: la libertà di essere quel che sono, di dire cose, giuste o sbagliate che fossero, ma di testa mia: grazie.
Ora io non voglio stare qui a elencare i Suoi tanti successi, sarebbe troppo comodo. Il mio mestiere è raccontare i momenti difficili. Quanto all’informazione in generale, so bene quanto Lei sia stato criticato. Vede, a me pare che il guaio dell’informazione, oggi come ieri, sia una certa dose di conformismo, e l’idea che l’informazione debba servire una causa. A lungo Lei è stato rappresentato come il Male, il pericolo per la democrazia, il nemico da abbattere. È l’idea che il giornalista o è di sinistra, o non è (qualche volta viene tollerato, in un gioco delle parti, il giornalista di destra, ma il giornalista per conto suo - devo ricordare Oriana Fallaci? - è sempre indesiderato). Si ricorda la vicenda umana e professionale di un maestro come Indro Montanelli? Io ricordo quando in molti pensavano che in fondo, quel cantore della piccola borghesia, i proiettili che lo avevano azzoppato se li fosse meritati. So che Lei lo ha difeso, e ha garantito il suo libero lavoro, in quegli anni. È bastato che le vostre strade si separassero perché i fischi diventassero applausi. Di recente un produttore cinematografico, per catturare la benevolenza della critica, ha affermato che i suoi cinepanettoni erano in realtà manifesti contro il berlusconismo. Io non sono mai stato contro di Lei – e spiegherò perché – innanzitutto perché diffido dei cori, ma neanche a Suo favore. Ho seguito storie di mafia e terremoti, guerre e terrorismi, foibe e missioni di pace, in libertà. Non mi è stato mai chiesto nulla, e oggi che non sono neanche più un Suo dipendente, e dunque al di sopra di qualche sospetto, posso dirglielo più liberamente, gratis: grazie.
E veniamo alla politica. Non credo Lei possa ricordarlo, ma alla Sua discesa in campo io scrissi una lettera preoccupata, e rimasi e vedere quel che succedeva. Certo, Lei ha contato su giornalisti che sono stati quasi Suoi megafoni, per loro scelta. Ma ha contato, e sono sempre stati molti, nelle sue aziende anche giornalisti che non hanno mai nascosto di stare da tutt’altra parte. Io sono stato per conto mio. Non ho mai nascosto di non aver mai votato per Lei (e del resto neanche per i suoi avversari: con la politica sono come certi alcolisti anonimi con il vino, mi tenta, ma me ne tengo lontano) ma ho guardato alla Sua politica senza pregiudizi. E i fatti – non le lenti delle ideologie – mi hanno portato a dire che Lei ha fatto una piccola grande rivoluzione. Positiva, nonostante diffidi delle rivoluzioni. Ha sconvolto la vecchia politica: penso al contratto con gli italiani firmato da Vespa, penso all’uso di un linguaggio senza le bardature sottili e stringenti che l’avevano preceduta, al rapporto immediato e diretto con il cittadino, persino al linguaggio del corpo: i Suoi maglioncini, i Suoi sorrisi, le Sue battute. Ogni volta che ho visto un sindaco in bicicletta, ogni volta che ho visto un politico fare disperati sforzi per sembrare uno della società civile, uno di noi, ho pensato: ecco, dopo di Lei, nulla è stato come prima. Ma, come le ho detto, la politica non è il mio mestiere. Mi limiterò a osservare l’ingiustizia di quelle campagne che La descrivevano come un pericolo per la democrazia: credo non sia un caso, e forse è un tic inconsapevole, che Lei usi il termine «mi consenta» invece del «mi permetta».
Lei ha sempre cercato caparbiamente il consenso, ha sempre voluto convincere, piacere, a volte persino a scapito di un decisionismo che avrebbe cambiato di più lo stato delle cose. Sì, ha avuto molti nemici. Il fatto è che una parte della società italiana non riesce a vivere senza un nemico da abbattere, senza rancore, senza odio. E qui vengo a qualcosa che io davvero ho imparato da Lei. Non Le nascondo che sorridevo, quando Lei parlava di «partito dell’amore». Sorridevo imbarazzato perché anch’io, che faccio parte di una generazione nella quale l’essere «contro» è stato non solo chiacchiere e distintivo, sono stato costretto a imparare da Lei una lezione: che si può battersi, ma senza odiare. L’ho sentita criticare anche aspramente ideologie e politiche, ma mai esprimere parole d’odio contro una persona: Lei ha contato molti nemici, ma ha affrontato solo avversari, con vis polemica o ironia, ma sempre con rispetto, e senza ansie distruttive. Ricordo il mio disagio, davanti alle immagini di quel tale che Le scagliò contro un oggetto, e Lei mi parve tradito nel Suo voler stare in mezzo alla gente, e inerme davanti all’odio, e mentre mi attraversavano la mente i ricordi di tanti slogan allegramente scanditi nella mia gioventù e trasformati in pietre da qualcuno che li aveva presi sul serio, Lei pronunciò della parole di umana pietà, pietas latina. In questo Lei non è mai diventato un politico di professione. Ha mantenuto sempre un tratto della sua formazione, che a me sembra essere la gentilezza. Lo so che oggi persino la pubblicità ama gli uomini forti, che non hanno dubbi, e che non devono chiedere. Lei è un uomo forte – devo ricordare le sue battaglie con l’unico potere forte che io conosca, la magistratura? – ma ha sempre mantenuto un fondo di bontà, altra parola fuori moda, oggi è di moda essere buonisti. Se non la infastidisce troppo la parafrasi di uno slogan elettorale di Mitterrand, direi che Lei ha una forza gentile. Davanti a tanta arroganza come tratto distintivo della politica, oltre che della società civile, da cittadino mi sento di dirLe un altro grazie.
C’è un tema politico che conosco meglio, la politica estera. Non voglio ricordarLe, in un giorno di festa, tante malignità. Ma si ricorda quando, a proposito di certe Sue battute, o certi gesti, o certi comportamenti, dicevano: eh, l’immagine internazionale dell’Italia... Mi piace ricordare, al contrario, come un Suo modo di essere abbia consentito, nella migliore tradizione italiana, di essere forti amici dell’America e della Russia contemporaneamente, di Israele e dei palestinesi nello stesso tempo, e sudditi di nessuno. E oggi che ne è dell’immagine internazionale liberata dalle Sue intemperanze? Siamo la sala d’attesa dell’immigrazione verso l’Europa, abbiamo avuto due marò umiliati per quasi quattro anni, operai sequestrati e uccisi, sanzioni contro la Russia che danneggiano solo noi, e sbandiamo pericolosamente persino facendo i tifosi nelle elezioni americane. È stato esente da critiche, il Suo ruolo internazionale? No, mi sarebbe piaciuto fosse stato meno solo, nel criticare il suicidio libico assistito dalla Francia, ma più forti delle critiche, oggi, sono i rimpianti.
Quanto vale, oggi, l’Italia? C’è una sola passione della mia vita in cui mi prende la tentazione di dar- Le del tu, presidente. È il Milan, che è la mia squadra da quando, ragazzino, vidi giocare Rivera, sentii Nereo Rocco parlare con l’accento triestino che era quello di mia madre, e ascoltai alla radio Milan-Benfica da Wembley. Cosa posso dirti, presidente? Grazie per tutto quello che hai fatto, quello che hai osato, quello che hai vinto. Grazie per come lo hai fatto, per aver cresciuto uomini prima che campioni, e aver amato il bel gioco prima del risultato. Per come hai trattato allenatori e tifosi, e anche gli avversari. Credo di averti incontrato quattro volte, presidente. Una fu in Giordania, davanti alla villa del re Hussein. Profittando della tua cordialità ti chiesi se era vero che stessimo per comprare Totti. Mi dicesti: «Noi teniamo alle nostre bandiere? Dobbiamo rispettare quelle degli altri».
La seconda volta che l’ho incontrata, Presidente, fu, dopo una passeggiata sulla Piazza Rossa, davanti all’ambasciata italiana a Mosca. Ero sceso in strada per fumare una sigaretta, abbandonando la conferenza stampa. Che forse stava per finire, ma comunque Lei sbucò alle mie spalle, e mi sentii sorpreso come nelle sigarette in corridoio al liceo. «Capuozzo, ha ragione », mi disse «mi stavo annoiando anch’io». Vede, una delle cose che mi ha sempre colpito di Lei è la capacità di valicare le barriere, di non prendere l’umiltà come un difetto, di saper rapportarsi alla gente qualunque. Per questo mi faceva rabbia vederLa descritta come un imperatore distante, o peggio. È l’ingiustizia di chi non vuole vedere, e non può permettersi di giudicare dai fatti. Non so se le ricordo adesso un periodo che Lei preferisce non ricordare in un giorno di festa, ma quando leggevo di Lei ai servizi sociali che prendeva sul serio la cosa, intrattenendo davvero gli ospiti di quel padiglione, non ho mai pensato fosse un modo di prendere in giro una condanna vissuta come ingiusta: era il Suo modo di essere, in ogni occasione, nei giorni buoni e in quelli meno buoni. Va bene, non devo essere troppo buono, so che Lei non ama le agiografie. Per dirLe qualcosa di non gradevole devo permettermi di parlare della Sua vita privata? Macché, Lei mi è stato simpatico anche in questo, ho sempre pensato, da peccatore, che chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ho sempre pensato che qualche debolezza – ammesso lo fossero – le restituiva umanità, non obbligava uno a invidiare la Sua energia, la Sua creatività, i Suoi successi.
Ho sempre sentito distanti i Santi, nella loro perfezione irraggiungibile. Credo Lei abbia subito delle ingiustizie anche in quello, moralismi e ipocrisie. Non so che cosa scriveranno di Lei gli storici tra cento anni, e in fondo non ci riguarda poi troppo, se non per la curiosità di sapere quel che scriveranno dei Suoi pallidi emuli e dei Suoi nemici in servizio permanente, se sapranno spiegare, finalmente, cosa sia il «berlusconismo», e rimettere pacatamente le cose al loro posto. Dovrei dire molte altre cose, di questo passato comune, e raccontare qualche aneddoto sulla Sua simpatia, sulla sua generosità d’animo, e non parlo di stipendi, sulla sua tenacia. Non ho ricordato le Sue vittorie, non ho fatto la galleria dei trionfi, ma vorrei poterle dire che se qualche volta è stato sconfitto, come capita nella vita, Lei non è mai stato un vinto, e ha dalla sua milioni di persone che non hanno mai pagato l’obolo, per essere alla moda, o politicamente corretti, o conformisti, di darLe contro, di negare a se stessi la Sua simpatia, la Sua disponibilità, la Sua normalità, resa speciale dal gusto per le sfide. Ma mi interessa di più il futuro prossimo. Cicerone nel suo Cato maior, de senectute, descrive un’età in cui il gusto per l’otium si incrocia armonicamente con la tenacia dell’impegno pubblico.
Se posso ritagliare su Lei un mio tic, devo dire che non sopporto la parola «anziano», mentre mi piace la parola «vecchio»... si dice: un vecchio amico, il vecchio Milan... E allora mi permetto di dirLe auguri vecchio, grande Presidente, grazie per tutto quello che ancora ha da venire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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