Politica

"CasaPound torni su Facebook": la Costituzione batte l'algoritmo

"CasaPound torni su Facebook": la Costituzione batte l'algoritmo

C'è un giudice a Roma. E la sentenza, in questo caso, rischia di avere ripercussioni anche al di là del perimetro nazionale. Ed è, a nostro avviso, una buona notizia, vi spieghiamo perché. Da anni ci interroghiamo sul ruolo di Facebook, un colosso della comunicazione che ha più di 2,3 miliardi di iscritti. Virtualmente lo stato più popoloso del mondo. Gestito - come è normale che sia - da una azienda privata. Come una monarchia. Normale fino a un certo punto, quando questa piattaforma sociale diventa il principale strumento di comunicazione per i politici di quasi tutto il mondo occidentale, si pone un problema di democrazia. Facciamo un esempio pratico: i profili Facebook di Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno milioni di iscritti e milioni di interazioni. Possiamo affermare con certezza che abbiano avuto un ruolo molto importante - se non fondamentale - nelle ultime campagne elettorali. Ma Zuckerberg, più o meno a suo piacimento, avrebbe potuto chiudere (o magari, al contrario, agevolare) uno dei profili. Inquinando, di fatto, la vita politica del nostro Paese. Fortunatamente nulla di tutto ciò è accaduto. Ma, nei primi giorni di settembre, il social network oscura decine di profili di CasaPound con l'accusa di istigazione all'odio. Una decisione unilaterale. CasaPound, checché se ne pensi, è un movimento politico a cui è stato concesso di presentarsi a svariate elezioni. Dunque, seppur con le sue posizioni radicali, rientra comunque nel recinto previsto dalla nostra Costituzione. Ma evidentemente non dalla policy di Zuckerberg. Le tartarughe vanno subito in tribunale e ieri è arrivata la sentenza del Tribunale civile di Roma: Facebook deve riabilitare i profili degli esponenti di CasaPound. Leggiamo un passaggio della sentenza: «È evidente il rilievo preminente assunto da Facebook con riferimento all'attuazione di principi cardine essenziali dell'ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (articolo 49 della Costituzione), al punto che il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano». Dunque, sottolinea il giudice, la Costituzione italiana prevale sulla policy e gli algoritmi del social network. Una piccola rivoluzione. Un piccolo schiaffo a un gigante che, troppo spesso, silenzia arbitrariamente le voci fuori dal coro.

Di qualunque colore esse siano.

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