Censura sui femminicidi: vietato parlare di gelosia

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Censura sui femminicidi: vietato parlare di gelosia

Censura pronta per l'Otello di Shakespeare? Da oggi, parlare di «gelosia» in casi di femminicidio sarà proibito: e così pure di «amore», «raptus», «follia», «passione», ossia di tutta quella categoria di oscure pulsioni che da sempre si intravedono dietro le tragedie di coppia. Basta: ora si dovrà parlare unicamente di «volontà di possesso e di annientamento». A volere imporlo è la nuova Carta di Venezia, approvata nei giorni scorsi dal Comitato pari opportunità della Fnsi, il sindacato dei giornalisti, e destinata a essere presentata ufficialmente il prossimo 25 novembre, con la richiesta di farne un cardine dei doveri deontologici dei lavoratori dell'informazione. Tra i rimedi per fronteggiare l'escalation di violenza sulle donne, la Carta indica anche l'obbligo di «declinare al femminile i ruoli professionali e le cariche istituzionali ricoperti dalle donne», seguendo gli appelli più volte lanciati dalla presidente della Camera Laura Boldrini e dal ministro dell'istruzione Valeria Fedeli; e financo il dovere di rispettare la par condicio tra sessi nei dibattiti tv sul tema, invitando a ciarlare in studio una donna per ogni uomo presente (e verosimilmente garantendo pari durata negli interventi). Non è tutto: i giornalisti italiani dovranno d'ora in avanti guardarsi dall'impiegare «immagini stereotipate» che riducano la donna a «oggetto del desiderio». Inoltre, ed è forse il diktat più demenziale di tutti, nel raccontare i fatti di cronaca che hanno per vittime delle donne dovranno guardarsi bene dal capire cos'è accaduto, dal risalire a ritroso nella ricerca dell'elemento scatenante del delitto: proibito, infatti, «suggerire attenuanti e giustificazioni all'omicida, anche involontariamente, motivando la violenza con perdita del lavoro, difficoltà economiche, depressione, tradimento e così via».

Cronisti e inviati risparmieranno un sacco di fatica, ufficialmente e definitivamente dispensati dall'improbo compito di informare, e obbligati a adeguarsi serenamente alla verità - ovvia, ma quanto esaustiva? - della «volontà di annientamento».

E se qualcuno dovesse obiettare che la realtà è più complessa degli aridi schemi del politicamente corretto, e si ostinasse a raccontare la realtà anche nei suoi aspetti più crudi, non per giustificare ma per spiegare, ecco l'anatema finale: verrà giudicato colpevole di «sfruttamento a fini commerciali (più copie, più clic, maggiori ascolti) della violenza sulle donne».

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