Colpire l'alleato dove fa più male

Colpire l'alleato dove fa più male

Dopo la questione morale, il caso sicurezza. L'assedio del M5s a Matteo Salvini è ormai senza soluzione di continuità. E punta a mettere in discussione le fondamenta su cui il leader della Lega ha costruito negli ultimi anni la sua inarrestabile ascesa politica. E, ancora di più, mina i temi cardine che in questi undici mesi di governo gli hanno consentito di capovolgere gli equilibri all'interno della maggioranza. Al punto che se alle Politiche del marzo 2018 il M5s aveva portato a casa il 32,6% dei voti contro il 17,3% della Lega, oggi - questo dicono tutti i sondaggi - gli equilibri sono completamente ribaltati.

Ecco perché nelle ultime settimane Luigi Di Maio - ovviamente d'accordo con i comunicatori della Casaleggio e Associati - ha deciso di colpire lì dove a Salvini fa più male. E ha messo in discussione uno dopo l'altro i cardini della propaganda leghista. Una strategia studiata a tavolino e gestita sfruttando al meglio le circostanze «favorevoli» delle ultime settimane. Insomma, proprio un «situazionista» come Salvini - uno che «ha la grande abilità di non programmare nel breve periodo ma di sapersi muovere a seconda della giornata», ha più volte detto di lui in privato Giancarlo Giorgetti - si è ritrovato a doversi difendere da un M5s pronto ad approfittare con inatteso tempismo di qualunque episodio favorevole.

Il cannoneggiamento è iniziato con il caso Siri. Perché, è evidentemente stato il ragionamento di Di Maio, quale miglior situazione per mettere all'angolo Salvini? Un sottosegretario della Lega indagato per corruzione in un'inchiesta - per giunta in odore di mafia, come ama ripetere affettuosamente il leader grillino - era davvero un gol a porta vuota. Di qui l'assedio. Lanciato da Di Maio e formalizzato dal premier Giuseppe Conte, deciso a revocare l'incarico ad Armando Siri nel prossimo Consiglio dei ministri. E così la questione morale - culla dei «Vaffa-day» che hanno dato i natali al Movimento - è tornata prepotentemente in scena.

Il secondo atto tra venerdì scorso e ieri. Con i Cinque stelle che hanno deciso di aprire una vera e propria campagna sulla sicurezza. Non quella che il Paese avrebbe riconquistato in questi mesi grazie ai porti chiusi o alla legittima difesa, come ama ripetere il ministro dell'Interno. Ma quella che ancora latita, come ha detto il presidente della Camera Roberto Fico dopo la sparatoria di Napoli. «Governo e Parlamento - ha detto - devono agire subito con un cambio di passo effettivo, a partire dal ministro dell'Interno». Un discreto affondo al Viminale. Il tutto in un equilibrio tra poteri dello Stato sempre più conflittuale, come testimoniava ieri lo scontro tra Viminale e Difesa. Insomma, il M5s ha deciso di assediare il leader della Lega proprio su uno dei suoi temi più cari. Non a caso, anche il presidente dell'Antimafia, il grillino Nicola Morra, ha affondato il colpo. «Piuttosto che terrorizzare sui migranti, il titolare del Viminale si occupasse di contrastare la mafia», ha buttato lì.

L'obiettivo è chiaro: colpire al cuore Salvini, provando a incrinare l'immagine sui cui il titolare del Viminale ha costruito la sua leadership indiscussa nella Lega e, stando ai sondaggi, anche nel Paese. Quella del tutore della legalità e garante della sicurezza. Uno dei temi chiave - insieme ovviamente all'immigrazione - su cui ha creato il suo consenso.

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