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Comincia l'era "post-Contratto"

Nessuno lo cita nemmeno più, persino Conte ormai costretto ad altre intese

Comincia l'era "post-Contratto"

Ci sono volute poco più di 48 ore dalla chiusura delle urne in Abruzzo perché la maggioranza di governo entrasse ufficialmente nella stagione del post-Contratto. È del tutto evidente, infatti, che quello che per undici mesi è stato una sorta di totem mitologico destinato a lenire incomprensioni e appianare dissensi è ormai prossimo a finire in cantina. Con buona pace della stabilità di un esecutivo che di qui alle elezioni Europee del 26 maggio ballerà neanche fosse sull'ottovolante.

Certo, è del tutto evidente che l'equilibrio tra M5s e Lega era già abbastanza compromesso. Altrimenti il voto in una regione di neanche un milione e mezzo di abitanti non si sarebbe trasformato in un detonatore tanto potente. Invece la batosta incassata dai Cinque stelle (che rispetto alle politiche del 4 marzo scorso sono passati da 300mila a 180mila voti, con sei elettori su dieci che non hanno riconfermato la fiducia al Movimento) è stata così violenta che solo ieri Luigi Di Maio ha rotto il silenzio dietro cui si era barricato. Senza contare che fra dieci giorni, il 24 febbraio, si replica in Sardegna, dove stando ai sondaggi rischia di ripetersi esattamente lo schema dell'Abruzzo. Con il candidato governatore grillino Francesco Desogus che dovrebbe finire terzo dietro il favorito Christian Solinas (leader del Partito Sardo d'Azione, sostenuto dal centrodestra) e Massimo Zedda (appoggiato dal centrosinistra). Insomma, le acque nella maggioranza sono, se possibile, destinate ad agitarsi ancora di più.

Non è un caso, dunque, che né Di Maio né tantomeno Matteo Salvini abbiano alcuna intenzione di rimettere in scena i siparietti amichevoli di questo ultimo anno, quando appena si affacciava nel dibattito pubblico un tema vagamente divisivo ci si appellava in coro e suadenti al mitico Contratto di governo. Che essendo piuttosto vago e fumoso il giusto diventava il pretesto perfetto per appianare qualunque dissidio.

Niente di tutto questo, perché è evidente che i tempi sono cambiati. Così, se il Mit guidato da Danilo Toninelli sfodera l'analisi costi-benefici che chiude di fatto le porte alla Tav, la Lega risponde presentando una quarantina di emendamenti al decreto sul reddito di cittadinanza, così da limitarne e di molto l'applicazione. E non contento il Carroccio invece di invocare l'ormai archiviato Contratto - che sul punto, guarda un po', di chiarezza ne fa davvero poca - butta lì l'ipotesi di un referendum consultivo per chiedere ai cittadini interessati se siano o no favorevoli alla Torino-Lione. Non è un caso che ieri Giuseppe Conte sia stato costretto a mettere il cappello sull'analisi del Mit, proprio nel tentativo di stoppare l'arrembaggio leghista. Insomma, si va verso una guerra di posizione che con la divaricazione degli obiettivi perseguiti da M5s e Lega è destinata ad arrivare fino in Parlamento. Probabilmente senza contraccolpi definitivi, almeno fino al voto delle Europee. Anche se quando il termometro delle incomprensioni inizia a salire c'è sempre il rischio che si arrivi alle cosiddette conseguenze inintenzionali.

Il pericolo è quello dell'effetto slavina. Dalla Tav si passa al reddito di cittadinanza e poi, come accaduto ieri, all'autonomia delle regioni del Nord. Il Veneto e il ministero dell'Economia avrebbero infatti chiuso un'intesa storica con cui si riconosce alla regione guidata da Luca Zaia una compartecipazione alle imposte. A darne notizia dalle colonne del Corriere del Veneto sono il viceministro all'Economia Massimo Garavaglia e il titolare degli Affari regionali Erika Stefani, entrambi leghisti. Ma il silenzio dal fronte M5s lascia supporre che l'intesa su quello che è uno dei provvedimenti bandiera della Lega ancora non ci sia. D'altra parte, non è un mistero che il tema sia fortemente divisivo all'interno del Movimento, con Roberto Fico che guida l'ala meridionale degli ultrascettici.

«Con la riforma delle autonomie cade l'Italia, piuttosto è meglio che cada il governo», diceva qualche mese fa la senatrice grillina Paola Nugnes.

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