Quel che resta della mozione di sfiducia al ministro Luca Lotti non sta tanto nel risultato del voto del Senato che mai è stato in discussione, quanto nell'inedita convergenza tra fuoriusciti del Pd e Cinque stelle. Una corrispondenza forte soprattutto nei contenuti, con l'antirenzismo a fare da collante tra Mdp - il gruppo parlamentare dove sono confluiti gli scissionisti dem e Sinistra italiana - e M5S. Al punto che a qualcuno è parso persino più duro l'intervento di Miguel Gotor rispetto a quello della grillina Paola Taverna che ha illustrato la mozione di sfiducia individuale al braccio destro di Matteo Renzi.
La giornata di ieri, dunque, allarga ulteriormente il solco tra il Pd e i suoi fuoriusciti, consolidando distanze, incomprensioni e risentimenti personali. Se mai ci fossero stati dubbi, insomma, è sempre più improbabile che le loro strade possano riavvicinarsi a breve. Certamente non prima delle elezioni, a prescindere da quale sarà la legge elettorale con cui si andrà alle urne. Ma anche dopo il voto l'ipotesi sembra poco praticabile, sia perché politicamente parliamo di distanze siderali sia perché umanamente la rottura è ancora oggi lacerante. Un avvicinamento, invece, qualcuno inizia ad immaginarlo proprio con i Cinque stelle. D'altra parte, all'indomani delle elezioni del 2013 fu proprio Pier Luigi Bersani - uno degli artefici della scissione - ad invocare una collaborazione con Beppe Grillo per tentare di governare. Certo, la delusione per lo streaming di quattro anni fa è probabile bruci ancora. Però il fatto che l'ex segretario del Pd ci abbia provato allora testimonia che ipotizzare una convergenza in futuro potrebbe avere un senso. Non è un caso che il tema rimbalzi ormai da qualche giorno tra i corridoi di Palazzo Madama dove più di un senatore grillino non esclude una qualche forma di collaborazione se dalle prossime elezioni - che molto probabilmente si terranno nella primavera del 2018 - uscissero vincenti i Cinque stelle. Nel caso non avessero i numeri per governare, la sponda potrebbe essere infatti proprio a sinistra del Pd. Più gradita, almeno così pare, rispetto alla Lega di un Matteo Salvini che nonostante i tanti punti di contatto non sembra riscuotere troppa simpatia nel Movimento. Per il momento sono solo scenari, anche perché tutto dipenderà non solo dal risultato delle urne ma anche dai numeri del prossimo Parlamento.
Detto questo, è un fatto che sulla sfiducia a Lotti il Mdp sia andato oltre i Cinque stelle, tanto da coinvolgere direttamente il premier Paolo Gentiloni chiedendogli formalmente di «valutare la sospensione delle deleghe» di Lotti «nel caso in cui il ministro non si dimetta». Una scelta che infatti i senatori dem non hanno per nulla gradito, nonostante Mdp abbia deciso di non partecipare al voto, a differenza proprio di Cinque stelle e Lega. E sono rimasti fuori dall'Aula anche i senatori di Forza Italia, come sempre è accaduto nel caso di mozioni di sfiducia individuali a ministri. Quella del partito di Silvio Berlusconi, insomma, non è affatto una scelta inedita, anche se nei fatti sembra ridurre le distanze tra Forza Italia e Pd. È evidente, infatti, che l'approccio non barricadero da parte di un pezzo di opposizione ha contribuito a rendere meno pesante il clima nel governo e nel Pd. Che ieri, forse per la prima volta in maniera così plastica e manifesta, ha visto messo sotto accusa il celebre Giglio magico.
I toni nei confronti di Lotti, infatti, sono arrivati ad essere irridenti e a volte persino sprezzanti. Battute e ironie che solo quattro mesi fa erano impensabili nei confronti di chi aveva in mano il Paese. Un altro sintomo di quanto il renzismo sia in declino.
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