Coronavirus

"Qui in Italia è come a Wuhan". Adesso il coronavirus fa paura

I contagi crescono del 25% al giorno e lo spettro cinese è a un passo. Per il professore bisogna adottare misure drastiche: "Non si scherza"

"Qui in Italia è come a Wuhan". Adesso il coronavirus fa paura

La situazione è preoccupante. Le cose si complicano. E si aprono scenari che ci vedono seguire a ruota i bollettini medici della Cina. "Seguendo i dati, mi viene da dire che siamo solo all’inizio. La nostra situazione di giovedì, venerdì scorso era identica dal punto di vista numerico a quella di Wuhan il 25-26 di gennaio. Naturalmente la condizione è diversa perché lì c’è una concentrazione di 11 milioni di persone in un’area molto ristretta, rispetto alla Lombardia che ha 10 milioni di persone molto più disperse". Massimo Galli, primario del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, lascia a casa l’ottimismo. O, molto probabilmente, la sua è una severità dettata dalla matematica. Dai numeri. Dalla scienza.

Il professore, parlando a SkyTg24, osserva che sebbene in regione non ci sia la stessa densità della città cinese dove ha avuto origine il focolaio del coronavirus, si hanno delle aree metropolitane fitte che ci dicono una cosa: la possibilità della diffusione dell’infezione, se non ci diamo da fare a fermarla, è reale. "Noi come Wuhan abbiamo avuto un periodo di circolazione dell’infezione sotto traccia piuttosto lungo, 3-4 settimane soprattutto nell’area del lodigiano". Poi continua. "Ci sono anche dei giovani in rianimazione con problemi decisamente seri. Abbiamo dei trentenni e anche sotto i trentenni". È tutto vero, anche se la proporzione con i pazienti più anziani naturalmente non è confrontabile.

"Noi siamo in una condizione relativamente privilegiata. L’intero mio reparto è stato trasformato in un reparto di rianimazione e stiamo estendendo i letti necessari in altre parti dell’ospedale. Eravamo più preparati proprio perché istituzionalmente siamo formati per questo tipo di emergenza, ma questa crisi ha superato ogni scala". Galli aveva parlato ai giornalisti già in mattinata. "In 42 anni di professione come specialista di malattie infettive, non ho mai visto qualcosa di simile a questa emergenza che ci ha costretto a ribaltare determinati reparti. Ci ha messo in una situazione di quasi completo collasso delle strutture sanitarie in Lombardia. Non si risolve questa situazione con uno schioccar di dita".

Non basta nemmeno mettere immediatamente delle grandi risorse, perché non si crea uno specialista da un momento all’altro. Non si crea in un’istante una persona addestrata a lavorare su questo tipo di patologia senza rischiare di contagiarsi e senza causare problemi a quelli con cui lavora. Basta che sbagli qualcuno e un’équipe può essere messa a repentaglio. E non si costruisce un ospedale da un momento all’altro alla cinese. Anche se fosse realizzabile, non darebbe una risposta qualitativa. Il professore si confessa intervistato durante Circo Massimo su Radio Capital.

Il primario del Sacco poi torna a parlare del comportamento poco prudente dei giovani. "Giovani lo siamo stati tutti, si considerano immortali, non reputano mai il problema come qualcosa che li possa direttamente riguardare. Magari non tutti, ci sono quelli che hanno la testa sul collo già da giovani. Ma bisogna che capiscano e se non capiscono, bisogna che gli sia fatto capire. Se i locali non in zona rossa hanno continuato a essere aperti fino a tardi, sarà una posizione impopolare, ma vanno chiusi".

I contagi crescono del 25% al giorno e lo spettro cinese è a un passo. Per il professore bisogna adottare misure drastiche. Attorno al 25 di gennaio tutte le persone di Wuhan erano chiuse in casa con una sola persona per famiglia che poteva uscire per andare a fare la spesa una volta alla settimana con un permesso. Fate due conti. Vedete come erano messi loro e come potremmo trovarci messi noi. La preoccupazione c’è. "Valutate voi.

I miei colleghi sono in una condizione lavorativa terribile, questo la dice chiaramente lunga su cosa stiamo affrontando".

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