Tu lo sai come si sente chi chiude una bottega? Ti va via la pelle, scarnificata, e gli occhi cominciano a fissare un futuro vuoto, con il senso di colpa che ti batte dentro, perché hai tradito la tua vita, il tuo mestiere, tuo padre, tua madre, le mani che non servono più a nulla, un'appendice inutile che ha perso arte e magia.
C'è una parola con cui non puoi non fare i conti: fallito. Ti accorgi che quella porta serrata è la fine di un mondo, se ne va un lavoro, se ne vanno cose, uniche, personali, dove hai messo molto di te stesso, se ne va qualcosa che stava solo lì, che trovavi solo lì, e adesso ce ne saranno altre simili, ma non uguali, non quelle. Se ne andranno storie, ricordi e parole: calzolaio, ceraio, cocciaio, legatore, guantaio, norcino, mugnaio, maniscalco, selciatore, seggiolaio, canestraio, arrotino e presto saranno un ricordo anche gli ombrellai, i liutai, i barbieri e i veri pasticcieri. Alla fine spariranno anche gli odori, quelli cari alle filastrocche di Gianni Rodari: «Sa di farina il fornaio, sanno di terra i contadini e di vernice gli imbianchini (...). I fannulloni, strano però, non sanno di nulla e puzzano un po'».
Ora qualcuno potrebbe dire: ecco, la solita nostalgia da quattro soldi. Non è solo questo. È peggio. È il sospetto che quello che scompare non sia il passato ma il futuro. Pensateci. Pensate al mondo che vediamo. È pieno di merci che hanno tutte più o meno lo stesso sapore, realizzate seguendo istruzioni e protocolli più o meno standard, acquistate su Amazon, una sorta di emporio di Babele comodo e universale, ma dove rischi di perderti in milioni di volti senza identità. Pensate a quello che sta arrivando, la fantascienza scesa in terra dei robot. Non ti fanno paura. Non si sta qui a fare i luddisti e a evocare la rivolta contro le macchine. Ma c'è una cosa che la rete, gli algoritmi e i robot non sono in grado di fare: l'artigiano. L'artigiano è il faber con un nome e un cognome, con la sua individualità, l'io unico e irripetibile, con la sua storia, i suoi errori, le sue giornate sì e quelle no, il suo talento che non si può replicare e si perde ogni volta che qualcuno muore.
L'artigiano è il segno dell'umano e viene dalla notte dei tempi. È l'uomo libero del medioevo, il sopravvissuto delle rivoluzioni industriali, il divergente del consumismo. È il mestiere nel mondo del fai-da-te. Ora si sono arresi, non sono sopravvissuti alle tasse e alla burocrazia, ma torneranno. Torneranno, come il numero 10 nel calcio. Le mani, un giorno, saranno oro. Il problema è capire dove. Non è detto che sia qui, in questa penisola bagnata dal Mediterraneo, perché di tanta arte hanno fatto un deserto. Non ci sono eredi. Non c'è più il terreno. È questo allora che viene da dire a chi parla di Italia, di patria, di popolo. Cosa c'è che incarna più di ogni altra cosa lo spirito italiano nel mondo? Non come siamo davvero, ma il nostro orgoglio. Non i porti chiusi, non le divise, non i navigator, che nulla hanno a che fare con Colombo e Vespucci. No, nel mondo ci conoscono per queste mani. Queste mani, come in Good Morning Babilonia dei Taviani, ci fanno dire al capomastro arrogante di Hollywood «di chi sei figlio tu?». «Noi siamo i figli dei figli dei figli di Michelangelo e di Leonardo. Di chi sei figlio tu?».
Allora forse è questo il punto. In dieci anni ci sono 165.500 artigiani in meno. È una strage. Li hanno presi a uno a uno, sfiniti, strozzati, puniti. Molti, magari, campano di nero. Non sono moralmente i migliori, ma sopravvivono. I governi e il fisco non hanno mai tenuto conto della crisi economica che stiamo da anni vivendo e hanno continuato a sfornare studi di settore folli e immaginari.
E intanto gli artigiani chiudevano, bestemmiavano, fallivano e qualcuno si sparava in bocca. Su ogni nome una tassa e ogni tassa una croce. È il cimitero di una certa idea di Italia. È l'Italia per cui mi sento italiano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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