I cappellini contro il caldo, i selfie e un desiderio grande nel cuore. Sono settantamila, forse di più. Difficile contarli, ma sono tanti. In una giornata di mezza estate, perfetta per costume e infradito, i ragazzi italiani si infilano nella calura romana e applaudono il Papa. Non vanno in spiaggia, e neppure in piscina, ma trascorrono la giornata, anzi due giorni, con Francesco. Dall'Alto Adige alla Sicilia si è messa in moto una geografia che sfugge a tutte le classificazioni, e pure alle banalizzazioni dei nostri esperti. Forse è la stessa gioventù che si scatena in discoteca e arrostisce sulla sabbia, forse no.
Quel che conta è altrove: questi giovani hanno in Francesco un punto di riferimento; di più, lo sentono come una figura familiare, uno cui confidarsi e che può portarli lontano. Oltre i limiti solo apparentemente invalicabili di questa società, laggiù dove i sogni non appassiscono ma prendono le tinte forti degli ideali. «I vostri sogni - afferma Francesco rivolgendosi alla platea del Circo Massimo - sono la vostra responsabilità e il vostro tesoro. Fate che siano anche il vostro futuro. I sogni vanno fatti crescere».
È un rapporto, quello tra Francesco e le nuove generazioni, che appare e scompare dai radar della comunicazione. Ma si potrebbe obiettare che lo stesso scetticismo avvolgeva per ragioni diverse i suoi predecessori. Riempiamo i giornali e le tv declinando le troppe esternazioni del Papa troppo terzomondista, troppo progressista - ma quando diventa conservatore e tuona contro l'aborto, tutti fanno finta di non sentire - troppo latino-americano. Troppo di tutto. Fra scandali, in testa quello interminabile della pedofilia, e riforme mancate.
Così la narrazione, accolta acriticamente dai più, riprende inesorabile e circolare: il Papa è solo e non sa farsi ascoltare, l'istituzione è in grande affanno e azzannata da lobby feroci, la credibilità è ai minimi storici. Letture millenaristiche e scenari apocalittici. Può pure essere, intendiamoci, molte critiche toccano la carne viva delle contraddizioni. Ma le analisi, pure circostanziate, perdono fatalmente di vista qualcosa di essenziale: anche Francesco, come Ratzinger che pure era diversissimo e Wojtyla che era fatto di un'altra pasta ancora, ha qualcosa da dire, qualcosa che supera le difficoltà, i peccati, le vergogne della Chiesa: Francesco è un amico per l'uomo di oggi, ancora di più per i ragazzi che con le loro antenne ultrasensibili captano le vibrazioni profonde del cuore. Può sembrare semplicistico, perfino sconcertante, ma Francesco parla al cuore e i cuori affamati di speranza accorrono. Pregano. Sventolano le bandiere, come nel teatro del Circo Massimo. Si rincuorano l'un l'altro e si trasmettono le emozioni, come davanti a un tramonto fra le onde, sulla linea dell'orizzonte.
«Ci ha invitato qualcuno di cui ci fidiamo», sintetizza don Julian Carron, in una lettera inviata a 740 maturati e laureandi partiti per Roma. Ciascuno avrà le sue motivazioni, ognuno ha le sue fragilità, esattamente come quelli che a Roma non si sono fatti vedere. Ma è un fatto che questo Papa sia in grado di mobilitare un popolo, di catturarlo con un messaggio alto ma non astratto, mai noioso e anzi magnetico. Chi è abbonato ai luoghi comuni sarà costretto, almeno per un giorno, a registrare questa esplosione di umanità. Salvo poi riprendere la geremiade mai interrotta sulla deriva della barca di Pietro e sulla aleatorietà del suo timoniere. Pazienza. Francesco prosegue il suo dialogo con i giovani. Predica controcorrente il matrimonio, tirando le orecchie anche ai genitori: «L'amore è la vita e se viene oggi perché debbo aspettare tre, quattro, cinque anni per farlo diventare stabile?». Poi attacca il clericalismo («la perversione della Chiesa) e mette in guardia dalle pasticche: «I sogni non si comprano, i sogni sono un dono di Dio».
Un Papa un
po' padre e un po' nonno. Ma capace di volare dove oggi i genitori e i maestri fanno fatica a spingersi. Per questo tante coppie di fidanzati hanno preferito una trasferta sudata a Roma a creme e materassini.Stefano Zurlo
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