Coronavirus

Lo studio sui no vax: infettano 10 volte di più dei vaccinati

Una ricerca svizzera dimostra che i no vax hanno una carica virale 10 volte più elevata rispetto ai vaccinati che si infettano di Covid-19

Lo studio sui no vax: infettano 10 volte di più dei vaccinati

Lo abbiamo sempre saputo ma adesso c'è la conferma definitiva: i no vax infettano dieci volte di più rispetto ai vaccinati perché hanno una carica virale molto più alta. È vero, tutti si possono contagiare con Omicron ma con differenze abissali rispetto alla quantità virale e replicativa del virus.

Cosa dice lo studio

I risultati arrivano da un gruppo di virologi svizzeri che hanno scoperto che, con esperimenti in vitro, le particelle di Sars-Cov-2 dei vaccinati sono ben 10 volte meno infettive rispetto a quelle prelevate in chi non ha mai ricevuto una dose di vaccino anti-Covid. Lo studio, pubblicato su Medrxiv, è il primo in assoluto che misura in maniera quantitativa questo fenomeno. Tutte le ricerche fatte finora, invece, si erano concentrate soltanto sulla presenza o meno del virus ma senza quantificare quanta carica virale ci fosse nei campioni.

L'importanza della carica virale

Più virus c'è, più è facile trasmetterlo: è una semplice ovvietà matematica. Ecco perché non ha mai retto la tesi no vax secondo la quale anche i vaccinati, andando in giro con il green pass, fossero oggetto di contagio. Certo, è vero ma 10 volte in meno, ossia con una quantità virale molto difficile da trasmettere (bisogna impegnarsi). Discorso diverso per i non vaccinati che, senza anticorpi, hanno una quantità di virus tale da essere i veri diffusori. E poi, le varianti Alfa e Delta, secondo lo studio, hanno di per sè una carica virale più elevata rispetto alle altre varianti. Ecco perché è fondamentale, grazie a questo studio, mettere la parola fine sulla capacità di chi diffonde veramente il Covid conoscendo la carica virale dei soggetti immunizzati, pressocché nulla o comunque molto scarsa.

"I test molecolari - spiega a Repubblica Mario Picozza, ricercatore del Laboratorio di Neuroimmunologia presso la Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma - sono ottimi strumenti di diagnosi, estremamente sensibili e specifici, capaci di identificare e quantificare con precisione gli acidi nucleici virali nelle vie respiratorie superiori. Possono, infatti, rilevare quantità terribilmente esigue del materiale genetico di Sars-CoV-2, e hanno buon gioco a non confonderlo con quello di altri coronavirus simili, ma ci dicono poco riguardo la capacità di infettare le persone che ci circondano".

I risultati della ricerca

Su quest'ultimo punto, infatti, si sono concentrati i ricercatori svizzeri che hanno quantificato i tamponi effettuati in 384 pazienti infettati dal virus e non vaccinati per poi confrontarne la carica virale con le cellule in vitro. Quello che è emerso è una sentenza: le particelle virali dei vaccinati sono 10 volte meno infettive (e quindi contagiose) rispetto a quelle prese da chi non lo è. "Purtroppo, soltanto gli studi epidemiologici, siano essi basati sull'andamento del numero di casi nella popolazione generale o sull'analisi diretta della trasmissione in ambiti ristretti come le famiglie ci danno informazioni utili per stabilire l'effettiva trasmissibilità di un ceppo virale", sottolinea il ricercatore.

Gli esperimenti in vitro, quindi, determinano un'ottima "indicazione dell'infettività" grazie ai campioni presi su naso e bocca e messi a contatto con le cellule coltivate in laboratorio e sensibili al virus. I risultati si ottengono dopo un'ora soltanto: "le cellule vengono marcate con reagenti fluorescenti in grado di identificare le componenti virali eventualmente presenti al loro interno.

Si può così contare, osservandole al microscopio, il numero di cellule che si sono infettate", conclude Picozza.

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