Cronache

Donne violentate e uomini ridotti alla fame: gli orrori dei trafficanti di migranti

Emergono nuove terribili testimonianze dall'inchiesta che nelle scorse ore manda in carcere tre trafficanti di esseri umani: migranti picchiati, donne violentate, ecco la situazione all'interno delle carceri libiche gestite dai criminali

Donne violentate e uomini ridotti alla fame: gli orrori dei trafficanti di migranti

Un orrore perpetuato giorno dopo giorno, una crudeltà già ben conosciuta purtroppo da diversi anni ma che, ogni volta che viene raccontata, lascia sempre più atterriti.

Emergono, con il passare delle ore, nuove indiscrezioni e nuove testimonianze dall’inchiesta che porta al fermo di tre carcerieri che in Libia appartengono ad un’organizzazione criminale dedita al traffico di esseri umani. L’indagine, svolta dalla Dda di Palermo e dalla procura di Agrigento, si avvale delle testimonianze di diversi migranti approdati a Lampedusa nello scorso mese di luglio tramite il veliero Alex, dell’Ong Mediterranea Saving Humans. Tra queste, emerge quella di un ragazzo per circa tre mesi rimasto imprigionato in un centro di Zawya, ad ovest di Tripoli: “Tutte le donne che erano con noi – si legge in uno stralcio del verbale diffuso dalla Questura di Agrigento – una volta alloggiati all’interno di quel capannone sono state sistematicamente e ripetutamente violentate dai 2 libici e 3 nigeriani che gestivano la struttura”.

Il capannone in questione è situato all’interno di un’ex base militare di Zawya, città in cui risulta radicata l’organizzazione a cui appartengono i tre fermati odierni. È qui dentro che avvengono gli orrori, è qui che i migranti dopo essere risaliti dall’Africa sub sahariana vengono rinchiusi in attesa che i parenti paghino il riscatto.

“Preciso che da quella struttura non si poteva uscire – si legge ancora nella testimonianza – Eravamo chiusi a chiave. I due libici e un nigeriano erano armati di fucili mitragliatori, mentre gli altri due nigeriani avevano due bastoni”.

Come si nota dunque, non sono soltanto i tre fermati oggi, due egiziani ed un guineano, a guidare la banda di criminali. Al contrario, il gruppo appare ben assortito, composto da più nazionalità ed ognuno sembra avere un preciso ruolo. Si va dal leader, identificato in un cittadino libico che i migranti testimoni chiamano Ossama, fino ai carcerieri, ai guardiani centri ed infine a coloro che materialmente poi trasportano i migranti verso le spiagge da cui partono alla volta dell’Italia.

“Ci davano da bere acqua del mare e, ogni tanto, pane duro – prosegue poi la testimonianza – Noi uomini, durante la nostra permanenza all’interno di quella struttura venivamo picchiati al fine di sensibilizzare i nostri parenti a pagare loro delle somme di denaro in cambio della nostra liberazione”.

A molti migranti viene fornito un telefono cellulare, con il quale chiamare i parenti. Così come riscontrato anche in altre indagini in passato, durante le telefonate le vittime vengono picchiate in modo che i loro parenti siano maggiormente sensibilizzati a pagare.

“Ho avuto modo di apprendere che la somma richiesta dagli organizzatori in cambio della liberazioni di ogni di noi, si aggirava a circa 10000 dinari libici – continua il migrante che rende testimonianza agli inquirenti – Io, malgrado incitato a contattare i miei familiari, mi sono sempre rifiutato, proprio per questo motivo sono stato oggetto di bastonate da parte loro”.

Nel verbale si parla anche di uccisioni e di pestaggi finiti con la morte delle vittime per via della mancanza di cure delle ferite: “Preciso che – si legge infine nel verbale – in occasione di un mio rifiuto, un nigeriano, con il calcio della pistola, dopo che mi ha immobilizzato il pollice della mia mano destra su un tavolo, mi ha colpito violentemente al dito, fratturandolo”.

Le testimonianze vengono rese grazie all’aiuto degli interpreti e dei mediatori, i quali riescono a far parlare i migranti ed a far loro indicare i carcerieri che provano a mimetizzarsi tra le proprie stesse vittime.

C’è chi, dall’interno della struttura, riesce a scappare soltanto grazie all’allentamento della sicurezza attorno alla base militare, che in almeno un’occasione avviene grazie ad un temporale. Particolarmente grave la situazione delle donne detenute dai trafficanti: esse, ogni giorno, risultano sistematicamente abusate.

Un contesto disumano, che però purtroppo non sembra essere l’ultimo ad emergere dalla Libia: qui, finché ci sarà spazio per le organizzazioni che lucrano sulla pelle delle loro vittime e che sfruttano la tratta migratoria che culmina poi con le partenze verso l’Italia, si assisterà all’emersione di altre storie della stessa agghiacciante crudeltà.

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