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"Doveri di padre" Così slitta la crisi

"Doveri di padre" Così slitta la crisi

Ieri Matteo Salvini ha disertato il Consiglio dei ministri e, poi, il fatidico vertice sull'Autonomia. Motivo? «Il venerdì è stata la risposta passo tutta la giornata con mio figlio». Da mercoledì, invece, farà una breve vacanza con la figlia: «Parti con lei gli ha intimato, infatti, la seconda ex compagna, carattere deciso e madre della bimba non sento ragioni». Così il vicepremier, che è innanzitutto un padre irreprensibile e affettuoso, si è fatto due calcoli veloci e ha capito che il tempo per una crisi di governo non l'aveva proprio. Povero cristo, un conto è immaginare sul piano teorico di stressare il Paese con un'altra campagna elettorale sotto il solleone, un altro tediare la famiglia(e) con un tour di comizi durante le ferie estive: un'ipotesi del tutto impraticabile, pena l'ira funesta di ex mogli, ex compagne e fidanzate arrabbiate.

Nella narrazione dell'ennesima parodia di una crisi annunciata a tambur battente dai giornali e smentita dalla realtà, c'è anche questo aneddoto: Salvini non ha tempo per la crisi. Nella giustificazione a Mattarella il vicepremier scriverebbe sicuramente: «motivi famigliari». Poi, ci sono le ragioni politiche che frenano la corsa alle urne. E non sono poche. L'altro ieri quando il sottosegretario Giancarlo Giorgetti è salito al Quirinale per sondare l'umore del capo dello Stato, lo ha trovato aperto all'ipotesi elettorale a parole («Non mi metto di traverso»), ma poi, nei fatti, estremamente capzioso. Intanto il capo dello Stato ha posto il problema di un governo, che, se dimissionario, sarebbe estremamente debole con l'Europa nella trattativa per i posti in Commissione. Quindi, ha ventilato un'altra questione grossa come una casa: la crisi, se si aprisse, sarebbe la prima dopo il ritorno al proporzionale. Per cui il presidente dovrebbe adottare tempi e dettami della Prima Repubblica: il primo passo sarebbe la «parlamentarizzazione» della crisi, cioè dovrebbe verificare l'esistenza di una possibile maggioranza o meno in Parlamento; in secondo luogo, difficilmente sarebbe l'attuale governo Conte a guidare il Paese al voto, anche perché il principale protagonista della corsa elettorale, cioè Salvini, ricopre in esso la carica di ministro dell'Interno, cioè sarebbe l'uomo che dovrebbe gestire le elezioni: insomma, si porrebbe un problema di imparzialità. Per cui davanti agli occhi del vicepremier leghista si è subito materializzato il rischio che un altro governo potrebbe anche ottenere la maggioranza in un Parlamento quantomai confuso e animato da un forte spirito di sopravvivenza. «Matteo sa benissimo che sul Colle si inventerebbero ha spiegato Igor Iezzi, compagno di scuola del vicepremier ad un deputato piddino qualsiasi cosa pur di non darci le elezioni». E, comunque, i tempi di una crisi, finestre o non finestre, si allungherebbero non poco: a quel punto, pur riuscendo a strappare le elezioni, ci sarebbe il rischio che il Paese prima di avere un altro governo, dovrebbe affrontare l'esercizio provvisorio, il che comporterebbe il rispetto delle clausole di salvaguardia e, quindi, l'aumento dell'Iva. Quanti voti prenderebbe quel leader che per portare il Paese al voto, provocasse, sia pure indirettamente, l'aumento delle aliquote?

Di fronte ad un percorso talmente accidentato, pieno di incognite da mandare in tilt il cervello di Archimede Pitagorico, Salvini che ha un carattere pragmatico e addirittura basico nelle sue scelte - ha preferito non impelagarsi in questo groviglio di questioni e imboccare la via più semplice: il redde rationem è rinviato alla prossima primavera, sperando che nelle regionali di gennaio l'Emilia rossa diventi verde. «Si voterà è la profezia del suo predecessore alla guida della Lega, Roberto Maroni il 7 giugno del 2020». Per cui non prendete impegni.

Fin qui Salvini, il resto lo ha determinato il sentimento dominante che anima Di Maio e l'intero gruppo dirigente grillino: lì dentro, al solo sentir parlare di elezioni, la paura fa 90. E accomuna «governisti» e «movimentisti», senza distinzioni. Anche Giuseppe D'Ambrosio, orecchino a destra e sinistra, più rivoluzionario del Dibba e più a sinistra di Fico, non ha dubbi. «Tra noi 5stelle ha spiegato a un collega di Forza Italia - ci sono 200 deputati pronti a fare le barricate contro le elezioni. Una cinquantina pronti ad appoggiare un governo di centrodestra». Una propensione condivisa da un ampio arco parlamentare. «Se Mattarella desse l'incarico ad un tecnico, magari a Conte o a Tria - spiega il forzista Osvaldo Napoli tra Pd, grillini e Forza Italia, alla fine un simile governo andrebbe avanti due anni».

Ma non c'è bisogno di manovre, di salti mortali o di nuove maggioranze. Almeno fino alla prossima primavera. Di Maio ruggisce in pubblico, ma in privato tratta. A volte bela. È disposto anche ad offrire su un piatto d'argento qualche testa riccioluta al feroce Saladino leghista, anche se per tenere il punto, almeno di fronte ai suoi, mette nel mirino Centinaio o la Bongiorno. Nelle ore più tese di giovedì, mentre si parlava di tradimenti e coltellate, Luca Carabetta, grillino ben accetto alla corte di Casaleggio, spiegava: «Forse è arrivato il momento di aggiornare il contratto di governo e, magari, un rimpasto. Loro stanno alzando i toni perché vorrebbero cambiare Toninelli e la Trenta. Riflettiamoci su». Già, su questa strada, Salvini potrebbe trovare qualche alleato pentastellato. Il sottosegretario Buffagni, ad esempio, non sopporta più da mesi il collega delle Infrastrutture: «Ci fa perdere voti». Mentre il sottosegretario all'Economia, Laura Castelli, dice in proposito: «Tra noi, mentre c'è chi, come me, tenta di risolvere i problemi in anticipo per evitare che ricadano sulle spalle di Di Maio, c'è pure chi li crea!».

Insomma, il disorientato Toninelli, che da ultimo giapponese 5stelle spara ancora contro la Gronda, il raccordo che dovrebbe semplificare il traffico a Genova, rischia di essere immolato sull'altare della pax gialloverde. Non è l'unica vittima. Dell'affaire russo, ad esempio, i grillini parlano sempre meno. Mentre l'ipotesi di autonomia che sta uscendo dai vertici di governo, rende irascibili i governatori leghisti Fontana e Zaia. In più si scopre che Zingaretti non sa nulla di ciò che frulla nella testa di Salvini, era convinto che ci fosse la crisi, al punto da bloccare la mozione di sfiducia contro il leghista. Così, la rissa è scoppiata al solito nel Pd sull'esagerata cautela del segretario. Berlusconi, invece, sa di più, ma a volte spera troppo nella voglia di staccare la spina al governo da parte dell'amico Salvini. L'unico che è al corrente di tutto, o quasi, è l'altro Matteo, Renzi: il telefono rosso della solidarietà generazionale funziona ancora. È il paradosso di un Palazzo confuso, poco avvezzo alla retorica di insulti e di iperbole, che caratterizza la retorica populista-sovranista. «Addirittura confida Felice D'Ettore, forzista e collega accademico del premier - Conte ha accarezzato l'idea, in caso di crisi, di candidarsi al ruolo di Commissario Ue per la Concorrenza. Lo so». Cose che non debbono meravigliare se un esperto frequentatore del Palazzo come Luigi Bisignani, da mesi litiga con il calendario, per trovare una domenica per quelle elezioni politiche autunnali che, a quanto pare, non si terranno mai.

Commento shakespeariano dell'azzurro Francesco Sisto: «La crisi? Il sogno di una notte di mezza estate».

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