E ora consolle e siti web debuttano in biblioteca

E ora consolle e siti web debuttano in biblioteca

Ana Santos è la direttrice della Biblioteca Nacional de España, fondata da Filippo V nel 1712. È la sacerdotessa del tempio della letteratura spagnola, dove c'è la memoria di una civiltà, un labirinto di carte, libri, manoscritti. Tocca a lei aprire le porte alla narrazione, all'arte, del XXI secolo: i videogames. Non c'è peccato, non c'è bestemmia. Il videogame, come il teatro e il cinema, nasce come gioco, ma poi invecchiando comincia a raccontare la vita, le paure, i sentimenti degli umani. Non è più solo «intrattenimento», ma incarna lo spirito del tempo. È narrazione.

C'è in fondo una linea immaginaria che parte da Cervantes o Calderón de la Barca e ci porta in questi tempi ancora tutti da decifrare, ma dove il confine tra reale e virtuale si è fatto sempre più ambiguo e sottile. La vida es sueño. È illusione. È qualcosa di effimero che fugge via, spezzata all'improvviso da un game over. Le avventure del Chisciotte non sono forse un videogame? L'ingegnoso hidalgo della Mancia e il suo scudiero sognano un mondo perduto e le gesta di cavalieri estinti, trasfigurando la realtà o rendendola un meraviglioso gioco, una fuga da un presente torbido e senza fantasia. Per capire la forza narrativa dei videogame bisogna interpretare la filosofia di uno che non li ha mai conosciuti. È la lezione sulla leggerezza di Italo Calvino. «I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi». I videogame lui li ha narrati prima, prima di Space Invaders, prima che questo mondo andasse in fuga dalla materia, cercando purtroppo una leggerezza senza profondità. Eppure da qualche parte lo spirito di Cavalcanti deve essersi nascosto. Non tutto il virtuale è vuoto. Calvino lo sapeva.

La fabbrica dei giochi sta producendo mondi e insegue le corbellerie di messer Ariosto, notti d'inverno e viaggiatori, ippogrifi e sortite sulla luna per ritrovare il senno, tempeste e calibani, trame simili ai sogni, biblioteche universali, labirinti da sfidare e città invisibili. Sembra quasi che sia qui l'eredità di Calvino. Non è poi così strano. Le Cosmicomiche o Il castello dei destini incrociati sono un labirinto da sfidare, una trama da sciogliere. Sono enigmi da superare per arrivare a un livello superiore di conoscenza. C'è alla base l'eterno mito di Teseo che deve uccidere Minosse, il mostro, e cerca prima di tutto se stesso nei corridoi disegnati da Dedalo.

Non è un caso che il Minotauro appaia in Dante's Inferno. È nell'architettura virtuale che le lezioni di Calvino si sublimano. I labirinti sono ormai città. È la Firenze medicea di Assassin's creed. È la città galleggiante di Columbia in BioShock Infinite. Osservate. I videogame assomigliano sempre più alle città invisibili. È la fuga verso il bello. È quel futuro non realizzato.

È la rivolta ideale contro un mondo di rami secchi. «Questo impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo».

Vittorio Macioce

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