Fannulloni da 16 anni. E ora pretendono un maxi-risarcimento di 1,5 milioni di euro, perché questa inattività avrebbe causato loro una sindrome depressiva. L'incredibile storia arriva dal consiglio regionale della Calabria. “Lavorano” qui i 14 dipendenti che, dal 2002 a oggi, vagano per gli uffici della Regione senza avere un compito né una mansione da svolgere, senza un ufficio né una scrivania.
Fantasmi istituiti per legge. Infatti sono noti come “quelli della legge 25”, una norma del 2001 che prevedeva l'istituzione di una «struttura ausiliaria di supporto permanente ai gruppi e alle strutture speciali». Dopo il relativo concorso, espletato nel 2002, decine e decine di persone furono assunte per entrare a far parte del nuovo organismo. Il problema è che quella struttura non è mai entrata in funzione. E da allora questi dipendenti – fannulloni loro malgrado – attendono che il Consiglio assegni loro «un ufficio, una stanza, una scrivania o un tavolo, una sedia e, ancora più grave, un compito da svolgere, una mansione da espletare».
Il passaggio è riportato nel ricorso che 14 di loro hanno presentato al Tribunale del Lavoro di Reggio Calabria, con il quale chiedono l'assegnazione delle mansioni previste dalla legge e un indennizzo pari a 109mila euro a testa.
Ma quali sono i motivi che hanno impedito l'attivazione della struttura nella quale avrebbero dovuto prestare servizio? È il loro avvocato, Ferdinando Salmeri, a spiegarlo nel ricorso: «I gruppi e le varie strutture consiliari, che operano all'interno del consiglio regionale, infatti, preferivano e tuttora preferiscono utilizzare personale estraneo al Consiglio stesso per espletare compiti e mansioni che invece andavano e vanno affidati» ai vincitori del concorso.
I consiglieri regionali, insomma, malgrado il personale dipendente a disposizione, hanno sempre preferito pescare i portaborse all'esterno, nel solco della tradizione politica clientelare tipica della Calabria. Il risultato finale è stato il raddoppio della spesa pubblica, senza contare i possibili e onerosi esiti della nuova azione giudiziaria.
Nel ricorso – come racconta il Corriere della Calabria – i 14 dipendenti fantasma riferiscono di aver più volte contestato l'«illegittimo comportamento» del Consiglio, ma senza alcun esito positivo. La prima udienza in tribunale è già stata fissata per il prossimo 24 gennaio. Le conseguenze giudiziarie potrebbero essere rilevanti, dal momento che questa situazione – è scritto nel ricorso – «arreca un grave danno alla professionalità, al decoro, alla dignità dei ricorrenti».
“Quelli della legge 25”, in particolare, lamentano un trattamento economico accessorio pari al 60% di quello corrisposto ai colleghi della stessa categoria assegnati alle strutture speciali. Un taglio che sarebbe stato giustificato con il «minor carico di lavoro», malgrado loro abbiano più volte chiesto un impegno a tempo pieno. I 14 “lavoratori”, inoltre, non avrebbero potuto beneficiare della «progressione verticale di carriera» e, in più, sarebbero stati impossibilitati a partecipare ai concorsi interni.
La loro condizione professionale sarebbe poi «peggiorata» in seguito alle norme approvate nel novembre 2017 dall'Ufficio di presidenza del Consiglio, con le quali sono stati inseriti nella dotazione organica – pur continuando a essere «privati di ogni funzione lavorativa» – e dotati del badge per la rilevazione della loro presenza in ufficio. Fino allo scorso anno, infatti, i “fantasmi” del Consiglio non erano nemmeno obbligati a “timbrare” come tutti gli altri dipendenti pubblici.
Al tribunale i 14 dipendenti chiedono dunque l'assegnazione delle mansioni e un sostanzioso risarcimento economico: 72mila euro per il 40% in meno di indennità di struttura percepita nel corso degli anni,15mila per non aver potuto beneficiare della progressione verticale, poco più di 22mila per il «danno biologico» causato dalla Regione.
Il Consiglio li avrebbe infatti resi «inoperosi» e avrebbe provocato loro una «sindrome ansioso-depressiva», con la conseguente riduzione del «10%» della capacità di lavoro.
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