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Finita la pazienza il Pd pensa al voto: "Cala il sipario"

Finita la pazienza il Pd pensa al voto: "Cala il sipario"

Il male oscuro del governo piano piano sta salendo fino al Colle. Bastano tre parole e un punto interrogativo per dire che la pazienza non c'è più. «Caliamo il sipario?». La domanda, retorica, è di Pierluigi Castagnetti ed è uno di quei segnali che è difficile ignorare.

Castagnetti non parla spesso, non è il segretario del Pd, non va spesso in televisione, ma le sue parole nel partito pesano, segnano, indirizzano. È uno dei padri del Pd. È stato l'ultimo segretario del partito popolare e da una vita è un grande amico di Sergio Mattarella. È ancora uno dei consiglieri più ascoltati dal presidente della Repubblica. Allora quando Castagnetti chiede, e si chiede, se bisogna scrivere la parola fine all'avventura di questo governo la risposta è quasi scontata. Il Conte bis sta per uscire di scena.

Non è un capriccio e neppure una provocazione. Il rapporto tra Pd e Cinque Stelle si è consumato in fretta. Non si sono mai amati. La sconfitta in Umbria ha buttato giù quel poco che c'era. I grillini vivono questa alleanza con il mal di pancia. «I Cinque Stelle - sostiene Castagnetti - rimettono in discussione ogni cosa ogni giorno, pensando solo a un molto ipotetico vantaggio elettorale».

Ogni volta che il Pd apre bocca la risposta è un «no», «non si può», «non è il momento». Zingaretti abbozza, i ministri dem stringono i denti, Franceschini si affanna a chiedere un altro pizzico di pazienza. Tutto questo però ha un costo. Castagnetti lo sa. Non è preoccupato solo per le sorti del governo. Vede oltre. Teme che il Pd esca da questa storia sfibrato, svuotato, imputridito, fino a toccare un punto di non ritorno. Castagnetti insomma pensa che il Pd debba uscire da questo rapporto malato il prima possibile. È una questione di sopravvivenza. È meglio andare alle elezioni. Sfidare Salvini e nel caso di sconfitta fare opposizione. È un viaggio nel deserto. Chiaro, senza ombre, reale. È surreale invece fare opposizione a Salvini stando al governo. È appunto quello che sta accadendo adesso.

Il quadro politico non è affatto sano. Il Pd non riesce a governare. È inerme. Le «sardine» scendono in piazza per protestare contro l'opposizione. Di Maio minaccia di far cadere tutto appena si cambia linea rispetto al vecchio governo, quello con la Lega. Di Maio sembra la vedova di Salvini. Conte, spuntato a Palazzo Chigi come garante grillino, ora parla come leader carismatico del Pd. I ricatti di Luigino Di Maio, oltretutto, fanno sì impazzire il Pd, ma in realtà sono indirizzati contro Conte, considerato un rivale e una sorta di avventuriero che sfrutta e tradisce il Movimento. Non basta. Questo governo nasce per la scommessa di Matteo Renzi, l'uomo che sia i grillini sia i dem sognano di vedere in disgrazia e magari in catene. È una commedia goldoniana dove nessuno è quello che dice di essere. La trama si regge sugli equivoci. Il guaio è che il prezzo di questo spettacolo nessuno può più permetterselo.

Lo sa Castagnetti, se n'è accorto Mattarella. Se l'opposizione vince in Emilia-Romagna i giochi sono fatti. Ora però sappiamo che anche in caso di sconfitta il sipario sul governo potrebbe chiudersi lo stesso. Conte appare sempre più fragile. Il vertice notturno di ieri è il tentativo disperato di resuscitare un cadavere. Oggi il premier andrà al Senato, dopo avere scritto una lettera ai deputati della Camera, per raccontare la sua versione sulla riforma del fondo salva Stati, l'ormai famoso Mes. Tutto quello che dirà servirà a poco. La maggioranza concorda su una sola cosa: nessuno più si fida del Conte bis. Nessuno ci vuole ancora mettere la faccia.

Giù il sipario.

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