Germania, il record degli italiani negli atenei tedeschi distacca persino i cinesi

Secondo il rapporto Migrantes, il numero degli italiani nelle università tedesche sarebbe più che raddoppiato in sette anni. Numeri che, per l'Istat, rappresentano anche una perdita economica

Germania, il record degli italiani negli atenei tedeschi distacca persino i cinesi

Un primato italiano che lascia indietro persino i cinesi, distaccandoli del 17%. Sono numeri e persone, che corrispondono a professionisti che insegnano o fanno ricerca in Germania. Perché, da sei anni, cioè dal 2012, gli italiani rappresentano il gruppo più folto tra gli stranieri che lavorano negli atenei tedeschi.

Secondo quanto riportato da Repubblica, nel 2016, erano 3.185 gli accademici italiani a esercitare nelle università in Germania. Dietro di loro 2.615 cinesi, 2481 austriaci e 2.257 indiani. E, da quanto emerge dai dati di Daad e dal Das Zentrum für Hochschul - und Wissenschaftsforschung (Dzhw, Centro di studi accademici e scientifici), gli italiani sono ormai quasi il 7% dei 46mila collaboratori e docenti universitari negli atenei della Germania. Ma non ci sarebbero soltanto lavoratori tra queste percentuali, ma anche diversi studenti. Che, in numeri sempre più alti, decidono di lasciare l'Italia per raggiungere un luogo che sembra offrire prospettive decisamente diverse.

Il Rapporto Migrantes

Per il Rapporto Migrantes sugli italiani nel mondo gli studenti che hanno conseguito la maturità in Italia e decidono di iscriversi nelle università tedesche sarebbero più che raddoppiatti in sette anni. Nel 2010 se ne contavano 3.976 e nel 2017 8.550. Per la sociologa Edith Pichler, studiosa dell'emigrazione italiana in Germania, una delle ragioni che rendono così attrattivo il Paese di Angela Merkel starebbe "in un cambio di mentalità". Per la sociologa dell'Università di Potsam, l'immagine della Germania, negli anni, è cambiata radicalmente e "nella testa di molti italiani" risulterebbe meno lontana e meno estranea di come si presentava nei decenni passati. Secondo Pichler, inoltre, il merito sarebbe anche "di un'Europa integrata, che ha avvicinato molti Paesi e molti popoli".

Le conseguenze (economiche) della fuga

Eppure, il record delle fughe all'estero, secondo la sociologa tedesca rappresenterebbe anche una significativa "perdita di intelligenze importanti per il futuro" del Paese d'origine. E non sarebbe soltanto una questione di prestigio, ma anche una perdita economica. Confindustra ha calcolato che, soltanto nel 2015, le famiglie italiane hanno speso 8,4 miliardi per l'educazione dei propri figli, a cui si aggiungono 5,6 miliardi messi dallo Stato. Con la decisione di andare all'estero, l'impiego di queste risorse, di fatto, non verrebbe restituito. Principalmente per due ragioni. Prima di tutto, perché l'Italia non risulta essere altrettanto accattivante per gli accademici stranieri. E anche perché numerosi italiani che emigrano non tornano più indietro. Secondo i dati Istat, poi i laureati emigrati all'estero sarebbero quadruplicati nel giro di quattro anni, tra il 2012 e il 2016.

La crisi del 2008 è stata la spinta

Gli anni della crisi economica sarebbero stati l'apice della fuga e avrebbero dato il via a questa rivoluzione.

Tra il 2008 e il 2014 il tasso di occupazione passava dal 24,2% al 15,6% tra i 15-34enni e dal 64,3 al 51,7% tra i 25-29enni, i giovani se ne andavano. Tra il 2008 e il 2015, 260mila italiani, sotto i 40 anni, hanno lasciato il Paese e spostato le loro residenze all'estero.

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