Il governo perdi e tassa

Via alla manovra che stanga le imprese e regala mance per recuperare voti

Il governo perdi e tassa

Dopo le elezioni in Umbria hanno preso paura e provano a correre ai ripari con un gioco di prestigio: fare sparire dalla manovra finanziaria alcuni annunciati aumenti di tasse particolarmente odiosi, tipo quello della cedolare secca sugli affitti, e compensarli con aumenti meno impopolari, soprattutto sulle aziende.

La possono girare come vogliono, ma il risultato non cambia: Cinque Stelle e Pd aumenteranno la pressione fiscale complessiva, già a livelli insopportabili, di almeno altri cinque miliardi. Il trucco è palese: tassare aziende e introdurre balzelli etici tipo la tassa sulla plastica evita la protesta di piazza, ma non cambia lo stato del portafoglio delle famiglie. Anche gli stupidi, infatti, sanno che ogni imposizione fiscale sulla produzione viene legittimamente scaricata dagli imprenditori sui prezzi al consumo, cioè su di noi. Con l'aggravante che un'operazione simile rischia di comprimere i consumi stessi e, quindi, innescare una non espansione, se non contrazione, di salari e occupazione.

Questo continuo balletto di tasse, che di giorno in giorno appaiono e scompaiono, la dice lunga sulla mancanza di visione del governo. Uno dice A, l'altro dice B, il terzo ricatta e tutto ricomincia dall'inizio. Una sequenza di «vertici decisivi» che non decidono mai nulla di definitivo, al massimo annunciano qualcosa, per giustificare lo stipendio, con la formula «salvo intese», che è come dire: non sappiamo come fare, mettiamo giù due righe e poi vedremo.

Quanto può durare un governo «perdi e tassa» che, ovviamente, porta al suo inverso, cioè al «tassa e perdi»? Anche questo non lo sanno neppure loro. Zingaretti dice: «Poco»; Renzi ribatte: «Tanto»; Di Maio chiosa: «Dipende». Che, tradotto, significa: non durerà in base alla capacità di risolvere i problemi del Paese, ma in base agli interessi politici personali. Interessi che, per di più, non sempre coincidono con quelli dei rispettivi partiti.

Di Maio, Zingaretti e Renzi sono tre debolezze (non parliamo della quarta, il premier Conte) che, insieme, non potranno mai fare una forza.

Ognuno di loro si sta giocando una partita solitaria che non prevede la possibilità di un pareggio. Ognuno userà tutte le armi possibili per non soccombere e mettere in difficoltà gli altri due. Le tasse sono l'ultimo dei loro problemi.

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