Grande Centro, un miraggio senza identità

Grande Centro, un miraggio senza identità

Il centro in politica, come il centravanti nel Barcellona di Guardiola, è uno spazio vuoto. Lo attraversi per andare in rete, ma non ti ci fermi. È un miraggio. Molti lo hanno sognato, tanti si sono persi. Pierferdinando Casini è uno di questi. Non si è mai arreso e continua a cercarlo, come Achab a caccia di Moby Dick. Qualche giorno fa, in radio, a Un giorno da pecora, si è messo a disegnarne il profilo, come un cartografo. È la terra immaginaria di tutti quelli che non inseguono Salvini, non si sentono grillini o sono stanchi del Pd. È un rifugio o un'illusione. È un punto sulla mappa o un incrocio di correnti. È, sostiene Casini, una calamita che attira esploratori e naufraghi. Non c'è dubbio che al confine di questo «grande centro» ci sia negli ultimi tempi parecchio traffico. Ci sono gruppi sparsi di cinquestelle disorientati, orfani del partito della spesa pubblica. È un centro che si è trasferito a destra in soccorso dei vincitori. È il «centro» dove Beppe Sala, sindaco di Milano in cerca di futuro, spera di rottamare il Pd. È il «centro» dove Matteo Renzi sogna una resurrezione. È il «centro» di chi si chiede perché in Italia non ci sia un partito Verde forte come in Germania.

È il «centro» europeo e in marcia di Carlo Calenda, che vuole spazzare via qualsiasi traccia di doroteismo, perché «da moderati si muore». È il «baricentro» di Mattarella, come equilibrio e istituzioni. È il «centro» di Mara Carfagna, per tutti quelli che in Forza Italia sperano di non morire salviniani. Ora tutti questi centri non fanno massa. Sono speranze, contenitori, scommesse. Il grande centro, semmai esista, non si raggiunge mettendo insieme questi pezzi vaganti. Non è una somma di nomi. Il centro lo devi immaginare, definire, riconoscere. Non è affatto facile. Non puoi avere fretta. Non ti basta giocare di sponda. Non puoi tirare a campare. La cosa più difficile è dare una carta d'identità a questo centro metafisico. Ci vogliono idee e un volto. Ci vuole una strategia. Salvini questa scommessa l'ha vinta. La Lega era al 4 per cento e lui è stato bravo a reinventarla. Il «centro», dice sempre Casini, vale almeno il 10 per cento. Forse molto di più.

C'è un «centro» terra di nessuno, dove da tempo si è rifugiato il partito del non voto, lì dove stanno i disillusi, quelli che non se la bevono più, quelli che si guardano in giro e vedono solo facce finte. È il «centro» con i numeri più forti, ma sconta la disgrazia che in democrazia chi non vota di fatto non esiste. Qualsiasi «centro» dovrà fare i conti con questo spazio vuoto.

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