Finalmente un film che non è una sentenza di condanna. «Ho ritrovato mio padre, la sua umanità, il suo carattere a tratti scontroso», racconta Stefania Craxi dopo aver visto a casa, lontano da occhi rapaci, Hammamet di Gianni Amelio, da oggi nelle sale. «Naturalmente il regista non ci offre l'affresco storico-politico di un'epoca, per quello ci vorrebbero gli americani o gli inglesi. Ma la tragedia di un uomo che ha fatto tanto per il suo Paese ed è morto lontano da casa, senza poter tornare in Italia, credo che venga fuori bene, molto bene, e faccia riflettere».
Le ruvidezze del tratto. Le ansie e le paure. La nostalgia acuta come uno spillo e traditrice come tutti i sentimenti che si accendono all'improvviso per un dettaglio microscopico. Amelio dosa i diversi elementi e compone un quadro che ha radici profonde, anche se la fantasia e gli ingredienti narrativi aggiungono qualcosa o fanno il maquillage alla realtà storica.
«All'inizio mi sono trovata spaesata. La prima scena, quella che ricostruisce il congresso del Psi all'Ansaldo, mi pare la meno riuscita. Mio padre sembra più un cumenda milanese, sbrigativo e un po' superficiale nel modo in cui liquida il tesoriere del partito. Fra l'altro Craxi non si e' mai occupato dei conti: non di quelli di casa, figuriamoci del partito. E anche l'interpretazione di Pierfrancesco Favino mi pare un po' sopra le righe, come se avesse una tonalità sbagliata. Ma poi - e Stefania sospira - Favino diventa sempre più aderente all'originale, credibile, anzi di più, nelle movenze, nel timbro della voce, nella tenerezza che fa da contrappunto alla sua scorza rugosa, per esempio nel rapporto con il nipotino. Ancora più sorprendente perché ha la stessa goffaggine di mio figlio Federico, oggi trentaduenne».
Siamo lontanissimi dagli stereotipi: dalla cartolina girotondina, tutta gogna e bava alla bocca, o dal ritratto del satrapo in fuga con il suo tesoro. «Era la leggenda che correva a Milano negli anni più bui: si diceva che papà si fosse rubato pure la fontana del castello e se la fosse portata in Tunisia. La scena in cui Bettino litiga con i turisti che gli gridano vergogna è verità pura. Io del resto in questi vent'anni non ho condotto una battaglia familiare, ma di comprensione di quell'esperienza».
Silenzio. I segni di una tempesta interiore: «Sì, devo dire che Favino è impressionante: da Oscar e ti conquista sempre di più, scena dopo scena».
Ecco Craxi con i pescatori tunisini o mentre aiuta una famiglia povera, respinta all'ingresso dell'ospedale. «Anche quell'episodio - riprende la senatrice di Forza Italia - non è una concessione buonista ma un altro lato di Craxi che la grande eclissi giudiziaria, la colata di carte e condanne e umiliazioni, quante umiliazioni, aveva cancellato».
Ci sono le viuzze della Medina e la lettera piccola piccola di D'Alema, senza firma, che provoca una reazione rabbiosa del leader ormai malato; le barche sulla sabbia che per un attimo t'ingannano feroci facendoti pensare alla Versilia di Carrà e le preghiere del muezzin, stranianti come la storia patria, ancora di più se come è successo a chi scrive capita di ascoltarle davanti alla tomba del segretario del Psi. E c'è l'occhio di Craxi proteso oltre la linea dell'orizzonte nel cercare quel che non c'è più: «Mio padre non era cosi granitico come l'hanno confezionato troppo a lungo e mi fa piacere che si recuperino le diverse sfumature della sua personalità. Io invece - e Stefania ride di getto - penso di essere più simpatica di come sono stata raffigurata da Livia Rossi, una vestale devota e diffidente, magari non è cosi. Ma Anita, come mi hanno ribattezzato prendendo a prestito il nome di mia figlia, forse è davvero vicina al mio modo di essere. Al mio ritmo, al mio metronomo». Chissà: «Comunque non mi sono soffermata sulla mia figura e neppure su quella di mio fratello Bobo», che ha una faccia antica. Da album del socialismo ai tempi di Nenni se non di Turati. «Però è vero che Bobo suona meravigliosamente la chitarra come nella sequenza in cui canta Piazza Grande di Dalla nel patio della casa di Hammamet - dove hanno girato diverse scene in primavera - attenuando il peso insostenibile dell'esilio».
In Tunisia arriva anche la vecchia amante, Claudia Gerini: «È un'invenzione del copione, diciamo che a Craxi piacevano le donne e che lui piaceva alle donne. Punto». Inutile accanirsi tentando di identificare con chirurgica precisione questa o quella soubrette.
E va fuori strada chi si accanisce alla ricerca puntigliosa delle coincidenze fra la storia e la sceneggiatura. «Cossiga volò ad Hammamet, ma qui il personaggio che si presenta in Route El Fawara è la somma, anzi la summa, di diversi generali dello scudo crociato e mi pare incarni certa ipocrisia democristiana. Bisogna rispettare le scelte narrative del regista». E Stefania si sofferma sul bambino che con la fionda colpisce un vetro: «È un capitolo dell'infanzia di papà: lui in val d'Intelvi mirò con successo alle finestre della Casa del Fascio. Ma mi pare che l'apologo vada oltre: Craxi è ancora vivo, il suo spirito non muore».
Il piccolo Davide sopravvive al Golia abbattuto da Mani pulite. E Stefania Craxi, la voce incrinata, finalmente si commuove.
Stefano Zurlo
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