I cattivi maestri sempre in cattedra

I cattivi maestri sempre in cattedra

C'è un sottile filo rosso (mai colore fu più azzeccato) a cucire insieme la bolsa retorica della «lotta armata» rivendicata da Toni Negri giorni fa, la triste farsa della «città indignata» andata in scena l'altro ieri a Napoli e ora queste dichiarazioni bolognesi di Oreste Scalzone dove al vile manganello della polizia si oppone la santa «bottiglia» (molotov, va da sé...) del rivoluzionario. «Siate più sovversivi e meno timidi» dice il vecchio ma sempre arzillo agitatore e in fondo che volete che sia: una bottiglia tira l'altra e fa crescere l'autostima.

Quella dell'estremismo coma malattia infantile del comunismo e dei «cattivi maestri» annessi, è una storia risaputa e non staremo qui a ripeterla. Sorprende però che essendo politicamente il comunismo defunto, quella patologia sia rimasta in vita. È un fenomeno italiano e del resto noi siamo la patria di Machiavelli e delle più raffinate acrobazie in materia, dal partito di centro che guardava a sinistra all'arco costituzionale, dal compromesso storico alle convergenze parallele, dalla Prima repubblica che non è mai morta, alla Seconda repubblica che non è mai nata, dal «ma anche» veltroniano allo «stai sereno» renziano. Non ci siamo fatti mancare nulla e possiamo, come no, andarne fieri.

Ora, dietro questa idea che «la democrazia è solo quello che penso io» si nasconde un percorso culturale lungo almeno mezzo secolo, da quando cioè, a partire dai primi anni Sessanta, l'antifascismo divenne una mistica, un fascismo di segno contrario, se volete, e una melassa: lo si poteva spargere, faceva da collante, funzionava da segnale identitario. Ciò che presupponeva, non era tanto o solo un nemico, ma una sorta di «cainismo» intellettuale, ovvero la riduzione dello stesso a simbolo del male, una mostruosità da eliminare, né più né meno.

Questo «cainismo» si nutriva altresì di tutte le favole alternative possibili e immaginabili volte a caricare l'autonominatosi Abele di quegli anni nel concentrato della purezza utopica, magari contraddittoria, ma sempre politicamente corretta. Così piangeva per i campesiños e piangeva per i koala, plaudiva al pacifismo e plaudiva alle guerre di «liberazione», era contro le dittature, ma non vedeva le proprie... Tutto quello che la sua mente poteva concepire in una logica di diritti e di progresso rispondeva al suo plauso e alla sua idea di democrazia. Il «cainismo» scattava, lo abbiamo detto, nei confronti di chi non era di quell'idea, il «diverso» che non potendo divenire eguale non può essere nemmeno «rieducato», e va dunque negato.

Si pensava che il mutare delle generazioni avrebbe via via attenuato fino a far scomparire questa idea nefasta di un totalitarismo democratico, ennesimo ossimoro all'italiana, ma così non è stato perché quell'habitus mentale si è trasformato in una sorta di virus contro cui non c'è vaccino: agisce come il famoso cane di Pavlov che al solo suono della campanella prende a salivare...

Nato quando già il fascismo era un reperto storico, l'antifascismo strumentale ha ribattezzato con quel nome tutto ciò che non gli piaceva e poteva rimetterlo in discussione: dalla «legge truffa» al fan-fascismo, dal craxismo all'uomo nero berlusconiano, il Caimano di cinematografica memoria. Anche Renzi rientra in questo percorso e il paradosso è che come «uomo solo al comando» pensava di poterlo imboccare all'incontrario... Che tutto ciò blocchi una normale alternativa politica, è un dato di fatto. Ma, ciò che è più grave è che perpetua un estremismo ideologico che s'ingrassa proprio sulla negazione di quello che pretende di essere: il difensore della democrazia.

Per chi lo pratica, gli altri possono parlare solo se dicono

quello che loro vogliono sentire. Se non è così, devono tacere. E se non lo capiscono, ci penserà «la lotta armata», «la città indignata» o la santa «bottiglia» da cui si è partiti. Purtroppo non è un gioco e finirà male.

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