Ha stravinto, ma - quasi per paradosso - da ieri Matteo Salvini si trova davanti a un dilemma che potrebbe essere decisivo per il suo futuro politico e per quello della Lega. La storia recente, infatti, dice che ormai le leadership sono altamente volatili e che qualche anno, a volte pochi mesi, sono sufficienti per passare dal più grande dei trionfi alla più tragica delle débâcle. Per maggiori dettagli chiedere a Matteo Renzi o, storia di queste ore, a Luigi Di Maio, capace di bruciare oltre sei milioni di voti in poco più di un anno di governo Conte. Il leader della Lega è ben consapevole del bivio che ha davanti, anche perché sul punto lo pungola da tempo Giancarlo Giorgetti. E non è un caso che già domenica sera abbia deciso di mettere sul tavolo quelli che per il Carroccio sono i tre dossier chiave: Tav, autonomia regionale e, soprattutto, flat tax. Tutte questioni su cui in questi mesi il M5s ha nicchiato, mentre Salvini ha saputo pazientare. Da ieri, però, lo spartito non può che cambiare. Perché il ministro dell'Interno non avrà più l'alibi di un governo i cui rapporti di forza sono tutti a favore del M5s e nel quale è dunque costretto ad accettare compromessi. Se non numericamente in Consiglio dei ministri o in Parlamento, infatti, politicamente Salvini è da ieri il dominus indiscusso dell'esecutivo. Il che significa che d'ora in poi sarà suo il merito dei successi ma anche la colpa degli insuccessi.
Ed è proprio qui che per il leader della Lega arriva il bivio. Perché se Salvini non dovesse riuscire a portare a casa risultati concreti - e su questo inciderà molto l'approccio di Di Maio che, al momento, pare davvero prostrato - allora è meglio tornare al voto. Perché restare immobili significherebbe solo consumare l'enorme dote di consensi incassata domenica scorsa. Peraltro - ed è questo il grande vantaggio di Salvini - dalle urne è uscito un centrodestra forte come non lo si era mai visto: Lega, Forza Italia e Fdi valgono insieme il 49,6% dei voti. Di fatto, si dovesse tornare al voto in tempi brevi, la certezza di una vittoria netta. Basti pensare che una simile coalizione sarebbe destinata a vincere la quasi totalità dei 232 collegi uninominali. Peraltro, con i nuovi equilibri sembra anche affievolirsi la pregiudiziale che Salvini ha verso Silvio Berlusconi. Perplessità dovuta a ragioni tecniche (il Carroccio a braccetto con gli azzurri perderebbe qualche punto) ma soprattutto personali. Ma con i nuovi rapporti di forza, non solo la premiership ma anche la leadership del centrodestra non sarebbero in discussione. Peraltro, facevano notare ieri alcuni dei colonnelli al ministro dell'Interno, la partita per la Lega sarebbe quasi una situazione win win. Non solo sarebbe in discesa la vittoria alle elezioni, ma con numeri simili a quelli delle Europee il conto dei seggi parlamentari sarebbe così corposo che probabilmente Lega e Fdi avrebbero da soli la forza di sostenere un governo. Salvini, insomma, si troverebbe nelle condizioni di poter imporre a Berlusconi i suoi desiderata.
Uno scenario, questo, che il vicepremier dice di non voler prendere ancora in considerazione. Ma che potrebbe farsi largo più avanti, soprattutto se l'interlocuzione con Bruxelles sui temi economici dovesse essere complessa come pare. La manovra di bilancio, infatti, si annuncia lacrime e sangue. E già domani dovrebbe arrivare la lettera dell'Ue che mette nero su bianco il rischio per l'Italia di una procedura d'infrazione.
Al netto della disponibilità del M5s a concedere alla Lega tutte le riforme che chiede, il governo potrebbe andare dunque in affanno anche per ragioni esterne legate alla tenuta dei conti. Non è un caso che proprio ieri ci sia stata una fiammata dello spread che si è riaffacciato oltre quota 280.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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