I rischi del baratro e i vincoli di Kiev

Al di là dell'episodio dei due missili del sistema difensivo ucraino o dei resti di missili russi centrati dalla contraerea di Kiev finiti in territorio polacco, quanto è avvenuto ieri offre più di uno spunto di riflessione

I rischi del baratro e i vincoli di Kiev

Al di là dell'episodio dei due missili del sistema difensivo ucraino o dei resti di missili russi centrati dalla contraerea di Kiev finiti in territorio polacco, o di qualsiasi altra ipotesi che concorre ad avvolgere ancora la vicenda in un alone di mistero, quanto è avvenuto ieri offre più di uno spunto di riflessione. La prima, la più drammatica, è che l'incidente, come si definisce in gergo, ha reso consapevoli tutti i contendenti in campo, e non solo, che siamo sospesi sul baratro: basta un nonnulla per provocare l'irreparabile. È una condizione terribile, di cui siamo tutti a conoscenza, ci appare un rischio lontano e, invece, in quell'ora che ci ha tenuti con il fiato sospeso l'altra sera, ci siamo accorti che è dietro l'angolo.

Di contro, altra riflessione più positiva, è che c'è un cordone sanitario invisibile, un meccanismo di sopravvivenza inconsapevole, che spinge le parti in campo a gestire situazioni del genere con sangue freddo e nervi saldi. Insomma, prima di tuffarsi in una guerra globale che coinvolga direttamente Russia e Nato su entrambi i fronti ci si pensa non una ma dieci volte. Ieri Washington e Varsavia prima di parlare, giudicare e decidere hanno voluto vederci chiaro. Lo hanno riconosciuto pure a Mosca. L'unico che, invece, ha gettato benzina sul fuoco è stato il premier ucraino Zelensky, chiedendo vertici Nato, risposte comuni contro il Cremlino, nuovi aerei.

Un atteggiamento a dir poco discutibile che si porta dietro un'altra considerazione. Premesso che la guerra è stata provocata dalla Russia senza alcun dubbio. Che tutte le responsabilità di un conflitto che, come si è visto l'altro giorno, può trasformarsi in un conflitto mondiale, ricadono sul Cremlino e sul suo inquilino. Ebbene premesso tutto ciò va ricordato che la Nato è scesa in campo per garantire l'esistenza dell'Ucraina, il suo legittimo desiderio di essere uno Stato indipendente, la sua aspirazione ad essere una democrazia. Non solo oggi ma anche per il domani. E per raggiungere questo obiettivo è stato giusto rifornire Kiev anche di armi e continuare a farlo. Solo che difendere l'Ucraina - questo deve essere chiaro - non significa attaccare la Russia, motivo per cui bisogna individuare un obiettivo raggiunto il quale ha senso fermare la guerra e creare le condizioni per una tregua. Partendo da un presupposto che non si può rischiare un conflitto mondiale e intanto mettere in crisi l'intera economia globale per un lembo di terra nel Donbass. Meglio, molto meglio, creare le condizioni per garantire Kiev per sempre e aiutarla nell'opera di ricostruzione.

Ecco perché, visti i rischi che corriamo, è necessario che sulla possibile soluzione da dare al conflitto possano dire la loro anche gli altri protagonisti dalla Nato, agli Stati Uniti, all'Unione Europea. Chi per salvare l'Ucraina ha messo a repentaglio la propria economia, non può essere considerato uno spettatore pagante senza diritto di parola sulla scena del conflitto. Né si può accettare che tra i due reali contendenti in campo, Russia e Nato, Zelensky si muova giocando secondo una regia solo sua.

Ecco perché l'ipotesi migliore sarebbe quella di inserire l'Ucraina nella Nato per inquadrare una possibile mediazione nell'ambito delle esigenze della comunità internazionale, rispettando certo le richieste di Kiev ma nella consapevolezza che in questo conflitto non c'è solo Kiev visto che senza i suoi alleati, e la loro assistenza militare, l'Ucraina non ci sarebbe più da un bel pezzo.

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