Ilva, rimandato il piano ambientale

In un emendamento, infatti, i democratici hanno chiesto e ottenuto la proroga dei tempi di esecuzione del piano ambientale, già slittato al 31 dicembre 2016 e che ora potrà essere realizzato entro il 30 giugno 2017

Ilva, rimandato il piano ambientale

Sull'Ilva il governo mostra la corda e non le cordate chiamate a salvare la più grande acciaieria d'Europa da un nuovo, definitivo, fallimento (gli interessati hanno 30 giorni di tempo, in base al decreto Guidi, per manifestare la propria volontà all'acquisto del complesso industriale).

Dopo essersi arreso all'idea di risanare prima di vendere lo stabilimento siderugico - a suon di leggi rivelatesi inutili da tre governi a questa parte (Monti, Letta, Renzi) – l'esecutivo ha condizionato la discussione nelle commissioni Attività produttive e Ambiente dell'ennesimo testo normativo che dispone di cedere le acciaierie a vagheggiati “capitani coraggiosi”. Palazzo Chigi ha presentato l'emendamento che autorizza i commissari Ilva a chiedere finanziamenti statali fino al tetto massimo di 800 milioni di euro a patto di spenderli però con l'unico obiettivo di realizzare le opere necessarie al risanamento ambientale della fabbrica tarantina.

Anche questa volta non è mancato il rituale colpo di scena targato Partito democratico. In un altro emendamento, infatti, la formazione del premier Renzi ha chiesto e ottenuto la proroga dei tempi di esecuzione del piano ambientale, già slittato al 31 dicembre 2016 e che ora potrà essere realizzato entro il 30 giugno 2017. Non è il primo rinvio dell'Aia, l'Autorizzazione integrata ambientale che dovrebbe dare il bollino di impianti “puliti” ad altoforni e acciaierie. E non sarà, verosimilmente, l'ultimo. Perché produrre ghisa senza inquinare a Taranto e soprattutto farlo senza aiuti pubblici (l'Italia rischia una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea) sembra un'equazione impossibile e a maggior ragione impossibile da risolvere per lo Stato, il governo Renzi e una politica di centrosinistra abituata a considerare l'Ilva un “pasticciaccio brutto” al netto delle tirate retoriche su salute e occupazione.

Sul fronte della vendita, intanto, calma piatta. A increspare le acque solo voci di cordate italiane sempre più convinte a intervenire se ci sarà il sostegno di Cassa depositi e prestiti guidate dall'ex amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni (sul quale, secondo il “Sole 24 Ore”, Renzi in persona farebbe pressing). O voci di acquirenti stranieri come Mittal e i coreani di Posco (le cui tecnologie eco-compatibili permetterebbero di eliminare il minerale per la produzione della ghisa).

Il tempo passa, i sindacati temono il collasso occupazionale (oltre 11mila i lavoratori dello stabilimento di Taranto), il governo mostra la corda, ma non le cordate per salvare fabbrica e città, salute, ambiente, lavoro. Quel che resta di un sogno industriale sull'orlo del naufragio.

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