Economia

L'implosione di un Paese in cui siamo tutti "esuberi"

L'implosione di un Paese in cui siamo tutti "esuberi"

Siamo tutti esuberi. Unicredit è una fotografia. È lo specchio del tempo, un punto di non ritorno, qualcosa con cui fare i conti da qui al futuro prossimo. È tutto quello che già sapevamo da tempo, da decenni, e abbiamo scelto di non vedere, come struzzi con la testa nella sabbia. Ottomila dipendenti pronti ad andare a casa e 500 filiali chiuse. Messa così sembra solo una questione che ha a che fare con un gruppo bancario. Ristrutturazione. Non è solo questo. Non riguarda solo le banche. È che tanti e tanti mestieri non hanno più cittadinanza. È il destino di maniscalchi e stallieri al tramonto delle carrozze e all'inizio del fordismo. È la catastrofe del commercio e della distribuzione al tempo di Amazon. È, nel piccolo, l'eclissi dei giornalisti nella cultura di Instagram. Non servi e a cinquant'anni ti tocca reinventarti un mestiere, che spesso significa poi ridisegnarti una vita. Il guaio è che questa non è la fine della metamorfosi. È solo la fase centrale di assestamento. Ce ne saranno altre e i tempi di arrivo a un nuovo equilibrio sono ancora lunghi. Sul terreno resteranno masse di lavori ormai inutili.

C'era un tempo in cui il posto in banca era una garanzia di vita senza scosse. Era, come quello al ministero, il simbolo della certezza. Non lo è più da decenni. In Italia, e in tutto l'Occidente, è cambiato tutto. Solo i governi hanno fatto finta di non accorgersene. Il welfare è lo stesso del secondo Novecento. È ritagliato sulla società del posto fisso e continua a garantire solo i già garantiti. La scuola non è la stessa del Novecento. È peggio. È rimasta chiusa in un limbo, sempre più povera, scadente, marginale, dove si respira rancore, disillusione e frustrazione. La formazione professionale è un castello di carte, una finzione. Mai come adesso ce ne sarebbe bisogno, di fatto però non funziona. Le classi dirigenti non hanno una visione, i lavoratori sono naufraghi sulle rapide. L'Italia non ha investito in una delle poche cose che ti salva nel bel mezzo di una rivoluzione industriale come quella che stiamo vivendo. Non ha investito nel capitale umano. Non abbiamo, su e giù, in alto e in basso, i mezzi culturali per sopravvivere. Non abbiamo né grinta né idee, né passato né futuro.

Siamo esuberi, vittime della nostra cecità.

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