Dalla mezzanotte del primo febbraio la Gran Bretagna uscirà definitivamente dall'Unione europea. Ed è incredibile come fino a oggi questa storia sia stata raccontata come una sconfitta degli inglesi e non come un piccolo disastro per le altezzose classi dirigenti europee. E come un problema per quelle italiane.
Dopo quel giugno del 2016, in cui si sostenne che la Gran Bretagna più incolta avesse scelto la strada sbagliata, non sono avvenute le tragedie economiche che i soliti esperti avevano pronosticato. Varrebbe la pena ricordare che l'anno scorso il prodotto interno inglese è cresciuto più di quello dell'Eurozona, e cioè dell'1,3 per cento. La loro Borsa, che avrebbe dovuto essere attaccata dalle cavallette, ha fatto segnare un salto del 12 per cento: non proprio un segnale del disastro finanziario, anche se non si può certo definire un boom. Ma ciò che più conta è l'economia reale: gli inglesi hanno una disoccupazione che noi ci sogniamo, la metà della media europea, e pari al 3,7 per cento. La loro moneta si è svaluta, ma non è crollata: è passata da 1,27 euro necessari per comprare una sterlina nei mesi precedenti alla Brexit all'1,18 di queste ore.
Difficile fare previsioni sul futuro. Molto dipenderà dal sano pragmatismo inglese nel trattare le condizioni migliori con Bruxelles. Ma come dimostra il caso Huawei, la ditta cinese che istalla la nuova tecnologia 5G e che gli americani hanno nel mirino, Boris Johnson, il premier tutt'altro che scapigliato nelle sue performance, prima di tutto pensa agli affari suoi e del suo paese. Chissà perché nessuno si è interrogato sulla reputazione di un club che perde un suo membro così nobile e importante. Per gli italiani esiste un sovrappiù di danno. Ed è quello che deriva dal rafforzamento dell'asse franco-tedesco, con il quale questo governo, più di quelli precedenti, non ha alcun rapporto, se non quello di piena accondiscendenza. La Merkel ha recentemente confessato in un'intervista al Financial Times di come Europa e Germania coincidano negli interessi e nelle strategie. E ciò non necessariamente è un dato positivo per noi. In assenza della delegazione britannica, gli italiani perdono a Bruxelles una sponda fondamentale. E rischiano di essere ancora più schiacciati dalla governance europea che passa per Berlino e Parigi. Il nostro parmigiano rischia di pagare dazio in America per gli aiuti concessi al consorzio Airbus, di cui l'Italia non fa parte.
La nostra Fincantieri rischia di essere stritolata dall'Antitrust europea perché si è permessa di acquisire dei cantieri in Francia, che in precedenza erano proprietà dei coreani e che oggi Macron & Co. non vogliono affidare a Bono. Un'Europa senza Regno Unito è una sconfitta dell'Europa. Ma per l'Italia è ben di più: avere un alleato in meno contro la burocrazia eurocentrica e l'establishment di Bruxelles.
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