A Como, in una piccola azienda del settore tessile, una dipendente ha subito molestie verbali. Per cinque anni, dal 2008 al 2013, una dipendete dello stabilimento è dovuta sottostare alle violenze del suo datore di lavoro, che le rivolgeva battute volgari e canzoni oscene. L'imprenditore prendeva di mira la ragazza anche davanti a colleghi e fornitori, insinuando la disponibilità sessuale della dipendente che, a suo parere, si sarebbe concessa a chiunque avesse voluto.
Nel settembre del 2013, l'impiegata ha denunciato il datore di lavoro e nel luglio 2014 si è dimessa. Durante la battaglia legale che ne è seguita, la donna è stata seguita da Domenico Tambasco e consigliata dallo studioso, che ha introdotto il termine mobbing in Italia, Herald Ege. A sostenere la causa della giovane anche il consigliere delle pari opportunità della provincia di Como, Paola De Dominicis.
Gli episodi di violenza verbale che la ragazza subiva ogni giorno le avevano procurato frequenti attacchi di panico, che la costringevano ad assumere psicofarmaci e a farsi visitare da specialisti. Come riportato dal Corriere della Sera, la donna non ha denunciato subito il datore di lavoro, perché le difficoltà economiche e la crisi l'hanno costretta a sopportare la situazione, per paura di non trovare un altro lavoro che le permettesse di pagare il mutuo.
L'esperto incaricato dal giudice ha individuato nei comportamenti della dipendente "sentimenti di auto-svalutazione e colpa (conseguenze che si verificano spesso nelle vittime di molestie o aggressioni sessuali)". Infatti la donna si auto incolpava di non essere riuscita a prevenire ed evitare i comportamenti scorretti dell'imprenditore. Il medico ha, quindi, effettuato una diagnosi di "disistima", che ha causato "depressione cronica" prolungata nel tempo. Tale condizione è stata causata dalle continue molestie cui la donna era sottoposta.
Anche sulla base di questa perizia, i giudici della sezione lavoro del tribunale civile di Como hanno pronunciato oggi una sentenza di condanna nei confronti dell'imprenditore. Nella sentenza si legge: "L’essere oggetto anche solo di battute volgari, oscene, alla lunga intollerabili da parte del datore di lavoro, risulta oggettivamente lesivo del rispetto dovuto a qualsiasi donna e può sicuramente rendere l’ambiente di lavoro ostile, degradante e umiliante".
La condanna contiene in sè due elementi inediti. Inannzi tutto è stata pronunciata per molestie esclusivamente verbali, senza che sia avvenuto alcun contatto fisico.
In secondo luogo suscita interesse anche l'entità del risarcimento, che è stato fissato a 105mila euro, che l'imprenditore dovrà versare alla donna.In sua difesa, l'uomo ha denunciato la ragazza per calunnia, sostenendo che le battute erano solamente conseguenza del clima goliardico che si vive in azienda.
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