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Nel vicolo cieco né retromarcia né freno a mano

Se parla e ridice che se perde va a casa, Renzi sbaglia. Se sta zitto, anche

Nel vicolo cieco né retromarcia né freno a mano

Caro direttore,

dopo la sconfitta di Matteo Renzi alle elezioni amministrative, più di uno dentro il Pd avrebbe consigliato al presidente del Consiglio di non personalizzare la prossima sfida referendaria. «Fai come Cameron, dì che non ti dimetterai neppure se gli italiani dovessero votare contro la riforma costituzionale da te voluta: così toglierai ai tuoi nemici la motivazione per recarsi ai seggi e votare no». Splendida idea. Un passo indietro per evitare che il referendum si trasformi in un plebiscito sul premier, le cui quotazioni, essendo in ribasso, potrebbero favorire chi lo vuole far sloggiare in fretta da Palazzo Chigi.

La strategia, che pare sia stata suggerita addirittura durante il Consiglio dei ministri tenutosi subito dopo la batosta di Roma e Torino, ha però due controindicazioni. La prima è nota. Renzi ha già detto a reti unificate che se perde il referendum va a casa e si ritira a vita privata, dunque rinculare appare piuttosto difficile, soprattutto considerando che mancano appena tre mesi alla scadenza referendaria. Gli spifferi che arrivano da Palazzo Chigi dicono che il presidente del Consiglio per guadagnare tempo sarebbe disposto perfino a far slittare il voto alla fine di ottobre, rinunciando alla data già scelta di inizio mese, ossia prima che la Corte costituzionale si pronunci sulla legge elettorale. Essendo stata fissata la discussione della costituzionalità dell'Italicum per il 5 di ottobre, Renzi avrebbe voluto giocare d'anticipo, ma accendendo un cero alla Madonna forse alla Consulta si perderà tempo lasciando che Palazzo Chigi si giochi le sue carte. Basterà un mese in più a far dimenticare agli italiani che Renzi ha promesso di dimettersi in caso di sconfitta? La risposta è no. Nonostante il premier stia cercando di imbavagliare l'informazione e di nascondere le ragioni del No alla riforma costituzionale, le sue baldanzose dichiarazioni e l'impegno a mollare la poltrona circolano in rete e c'è da giurare che da qui ad ottobre diventeranno il miglior spot per chi ritiene pericolosa la riscrittura ad uso renziano della Carta. Se poi le frasi di Matteo non fossero sufficienti, l'opposizione potrebbe sempre far ricorso all'intervista di Maria Elena Boschi a Lucia Annunziata, in cui la ministra delle Riforme si diceva pronta ad immolarsi. Insomma, due piccioni con una fava. Come pensino gli amici di Renzi di far dimenticare tutto ciò è un mistero. Quattro mesi di campagna elettorale rimangiandosi la promessa di far le valigie equivarrebbero alla miglior testimonianza che il Rottamatore è esattamente uguale ai rottamati e per evitare di mollare la poltrona è pronto a qualsiasi contorsione, anche a costo di perdere la faccia.

C'è poi una seconda controindicazione e non di poco conto. Per schivare la personalizzazione della sfida referendaria, Renzi ha una sola possibilità: parlare del plebiscito il meno possibile. Per evitare di intestarsi la sconfitta, il presidente del Consiglio dovrebbe fare il contrario di ciò che ha fatto alle elezioni amministrative e cioè non metterci la faccia. Ma così purtroppo per lui e per fortuna nostra ha ancora meno possibilità di quelle che gli attribuiscono i sondaggisti di poter portare a casa un sì al cambiamento della Costituzione e dunque poche o nessuna chance di continuare a rimanere a Palazzo Chigi. Senza lui che fa ogni giorno l'appello in tv degli elettori renziani, il rischio che gli italiani bigino l'appuntamento ai seggi e non si appassionino allo scontro del plebiscito è altissimo e la conseguenza potrebbe essere la diserzione di massa di chi è disposto a votare Sì alla riforma. Oscurare Renzi non avrebbe automaticamente la conseguenza di oscurare il referendum, poiché chi è favorevole al No già sta battendo la strada della rete e del passaparola per portare la gente a votare. Il silenzio del premier, dunque rischia di essere un boomerang solo per il Sì, perché oltre a mostrare un Renzi indebolito, prigioniero delle correnti del Pd e tentennante, ossia il contrario di ciò che egli stesso ha rappresentato per oltre due anni, lascerebbe in garage la macchina del consenso allestita in questi mesi a Palazzo Chigi.

Dunque, che fare? Se parla e ridice che se perde va a casa, Renzi sbaglia. Se sta zitto, anche. È questo il vicolo cieco in cui si è messo e dal quale non sa come uscire. L'unica possibilità che ha di salvarsi è che a parlare più di quanto già non faccia lui siano D'Alema e compagni.

I soli che quando si fanno vedere in tv e quando lo attaccano convincono gli italiani che peggio di Renzi c'è solo chi a sinistra lo ha preceduto e briga per tornare.

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