Cronache

"Non sa chi sono io", toga condannata

Due anni e 6 mesi a un giudice milanese: ostacolò l'apertura di un bar

"Non sa chi sono io", toga condannata

Ci sono magistrati, tanti, che fanno la coda alla posta, che viaggiano in tram, che pagano le multe. E poi ci sono quelli, una agguerrita minoranza, che usano la toga come un lasciapassare, un simbolo di superiorità sociale oltre che morale. Ma a volta va a finire che uno di loro debba pentirsi amaramente di avere sventolato l'italica bandiera del «lei non sa chi sono io». È il caso di un noto giudice del tribunale civile di Milano che nei giorni scorsi è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione per avete approfittato del suo status per cercare di risolvere una bega condominiale.
Pena inflitta: due anni e sei mesi per concussione, il giudice non andrà in carcere ma dovrà chiedere l'affidamento ai servizi sociali. E soprattutto si e visto infliggere la interdizione dai pubblici uffici. Non potrà fare il giudice per tutta la durata della pena. E se non si dimetterà spontaneamente dalla magistratura ora lo aspetta il procedimento disciplinare del Csm che, vista la gravità del reato, difficilmente potrà essere diversa dalla destituzione.

E pensare che tutto questo sarebbe andato liscio se il giudice - che si chiama Giorgio Alcioni, ha 62 anni e fino a questa storia dispensava giustizia in una sezione civile del tribunale milanese - non avesse trovato sulla sua strada un avversario poco incline a farsi intimidire dalla sua aura. Si tratta di un barista, titolare da decenni di uno storico bar nei pressi del tribunale, che qualche tempo fa ha la pensata di traslocare di pochi metri, nei locali lasciati liberi da un panettiere. Peccato che al secondo piano del palazzo abiti con la moglie il giudice Alcioni, al quale l'idea di avere un bar sottocasa proprio non va giù: e fin qua è questione di gusti. Ma per bloccare l'insediamento del bar il magistrato comincia a farne di tutti i colori. Affronta a brutto muso il barista, «lei questo bar non lo aprirà mai, lei è a conoscenza del lavoro che svolgo?». Sommerge gli uffici comunali di esposti, avendo cura ogni volta di sottolineare la propria qualifica di magistrato. Fa irruzione a ripetizione negli uffici pretendendo che la pratica venga bloccata: e perché le cose siano chiare, come documento all'ingresso presenta ogni volta il tesserino del ministero della Giustizia.
Ma il barista, difeso dall'avvocato Lino Terranova, non si fa intimidire. Denuncia Alcioni alla Procura di Brescia, il giudice viene condannato in primo e secondo grado, ma non si arrende e arriva fino in Cassazione. L'altro ieri, la sentenza finale. Su una serie di capi d'accusa Alcioni se la cava con la prescrizione, su altri viene assolto.

A risultargli fatale è l'incursione in un ufficio dell'edilizia privata dove si fece materialmente consegnare la pratica del barista: e alla impiegata che faceva resistenza disse testualmente: «Lei non sa chi sono io, se voglio il fascicolo lo visiono lo stesso, lo faccio sequestrare e me lo porto in tribunale». Se ne sarà pentito?

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