Sotto l'albero di Natale il governo più debole di sempre ci lascia tutta la sua insipienza in materia economica: niente per le imprese e per il lavoro. Alitalia a terra. E perfino una banca in crisi.
I colori della cartina d'Italia uscita dalle ultime elezioni politiche, nel 2018, parlava chiaro: il nord più industrializzato era tutto blu, il colore della coalizione di centrodestra. Mentre le grandi regioni del Sud erano gialle, cioè aveva vinto il Movimento 5S. In un Paese con un forte deficit di Pil, stabilmente fanalino di coda in Europa e nei vari «G» a una o due cifre, poteva essere l'occasione per coordinare politica e industria in una combinazione virtuosa. Puntando su quel colore blu. Invece non è andata così.
Non è stata a favore di imprese e lavoro la coalizione giallo-verde, sbilanciata sulle politiche assistenziali del Movimento a fronte delle istanze più sociali (l'immigrazione) che economiche della Lega. Ma soprattutto non lo è stata la successiva alleanza di governo, quella oggi in carica con i colori giallo-rossi. D'altra parte, se si recupera quella cartina (dove il colore rosso non era proprio presente) e si immagina di escludere il centro-destra dal governo di un Paese in piena stagnazione, si capisce bene che i risultati non potevano che essere quelli che abbiamo trovato sotto l'albero.
Riepiloghiamo: l'anno si chiude con una manovra di bilancio che vale 32 miliardi, sostanzialmente in deficit, e per lo più fatta per evitare l'aumento dell'Iva (previsto dalle famose «clausole si salvaguardia»): solo questo vale due terzi della manovra. Non c'è niente, nella politica economica del governo, che metta al centro il lavoro, le imprese, la crescita. Non nel breve periodo, né nel lungo termine. Non è un caso che da Confindustria a Confcommercio, il mondo delle imprese grandi e piccole abbia dato giudizi pesanti sui provvedimenti sui quali, oggi, il governo chiederà la fiducia alla Camera.
Inoltre, sempre sotto l'albero, ci sono tutti gli altri regali avvelenati: l'incredibile pasticcio della ex Ilva di Taranto lascia la più grande acciaieria d'Europa nella totale incertezza. Poi c'è il dossier del salvataggio di Alitalia, che a metà luglio veniva presentato da Di Maio come in dirittura d'arrivo, e che ora è malamente naufragato: dopo l'ennesima iniezione di denaro pubblico (400 milioni), Alitalia riparte da zero, con la prospettiva, sempre più concreta, che il 2020 sia l'anno della liquidazione.
E ancora: con il salvataggio in extremis (sempre con denaro pubblico, fino a 900 milioni) della Popolare di Bari, le banche sono tornate a fare paura a distanza di quattro anni dalla risoluzione di Pop Etruria, Marche, CariChieti e CariFerrara. Completano il quadro, al Mise, i dossier in letargo che non promettono nulla di buono: sono le 149 crisi aziendali aperte, tra cui le più note sono Whirlpool, Conad-Auchan, Mercatone Uno, Bosch.
Certo, non tutto questo ha avuto origine con il governo Conte bis.
Ma è vero anche che, per le partite aperte, o nulla di risolutivo è stato fatto, o addirittura c'è stata un'involuzione. Ed è perché, a fronte di un orizzonte politico di brevissimo respiro, conta solo la sopravvivenza quotidiana. Le priorità del Paese possono attendere.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.