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Ora i grillini si credono la nuova Dc

Il capo politico grillino progetta di incarnare la nuova Dc. Il consigliere Carelli: "Dobbiamo puntare a rappresentare l'area di mezzo"

Ora i grillini si credono la nuova Dc

I segnali non mancano. Anzi, si moltiplicano. Giggino Di Maio è tornato a riunire il vecchio gabinetto di guerra personale, che aveva durante la campagna per le politiche, quello con Vincenzo Spadafora ed Emilio Carelli, che piaceva al giovane Casaleggio ma che infastidiva e veniva guardato in cagnesco dalla vecchia guardia del movimento. Il ritorno alle vecchie abitudini, nei fatti, è l'ultimo tentativo per tornare in auge del leader pentastellato. «Abbiamo vinto le elezioni ha spiegato il vicepremier al suo pacchetto di mischia mostrando un'immagine moderata al Paese. Abbiamo sbagliato a non proseguire su quella strada. Un mezzo suicidio». Così sono venute le frasi mielate di Giggino verso Angela Merkel, la pace con Juncker, i segnali al Ppe, l'eclissi del garante Beppe Grillo e dell'ala guevarista di Di Battista, lo scontro con Salvini sui temi etici e sull'immigrazione. Addirittura, ieri il sottosegretario Spadafora ha fatto capolino, a sorpresa, a un evento dell'associazione pro-rom 21 aprile, per dire: «Io la mia politica in difesa dei rom e dei migranti la farò con i fatti». Già, qualcosa è cambiato. «L'articolo oggi sul Corriere (ieri, ndr) che porta la firma di Di Maio, sembra scritto da un ministro democristiano» sorride Emilio Carelli, di nuovo consigliere del leader grillino e fan della svolta moderata: «Luigi ci ha messo un anno, ma alla fine ha capito che è l'unica strada: dobbiamo puntare a rappresentare l'area di mezzo, quel blocco sociale che prima aveva come riferimento la Dc e, poi, ha avuto Forza Italia. Glielo dissi quando mi proposero la candidatura alle politiche: molti dei voti e degli eletti sono venuti da lì».

Il nuovo Zelig della politica italiana, Giggino Di Maio, è tornato a vestire i panni del moderatismo. Una bestemmia se si pensa che poco più di un mese fa il vicepremier grillino faceva un occhiolino ai gilet gialli che bruciavano le strade di Parigi; e l'altro a Maduro, il dittatore che ha affamato il Venezuela. Per non parlare del giustizialismo iniettato dai pentastellati nel nostro ordinamento giudiziario e i no alle infrastrutture, alla Tav. Ma, si sa, di questi tempi le parole servono a confondere i fatti, non a rappresentarli. E la nuova linea se apparentemente può aumentare la polemica con Salvini, in realtà è l'unica che può evitare una rotta di collisione con l'alleato di governo: dopo le elezioni difficilmente un «moderato» potrà dire no, ad esempio, alla Tav. È la riproposizione del vecchio schema che ha dominato la prima Repubblica, con la quale la Terza (se l'attuale può essere chiamata così) condivide una legge elettorale ispirata al proporzionale: i partiti di governo se le danno di santa ragione in campagna elettorale, ma poi, come se non fosse successo niente, celebrando i vecchi riti di allora - tra vertici, verifiche e rimpasti puntano di nuovo a governare insieme, cementati, solo o soprattutto, da una logica di potere. «Vi siete scordati i duelli tra De Mita e Craxi rammenta il vicepresidente dei deputati grillini, Francesco Silvestri : litigavano per poi stare nello stesso governo». Anzi, a ben guardare, la svolta moderata che vuole imprimere Di Maio è la più adatta a garantire dopo il voto europeo il proseguimento della maggioranza gialloverde: un obiettivo fondamentale per il leader grillino che se fosse costretto ad andare alle elezioni anticipate, si ritroverebbe con il partito decimato (secondo la maga Ghisleri ieri, dopo due settimane, i 5 stelle sono tornati sopra il 20% e superato il Pd).

In fondo la ratio su cui è nato il rapporto tra grillini e leghisti è proprio quella delle coalizioni di trenta anni fa. «Noi interpretiamo il ruolo del Psi teorizzava Armando Siri, una delle teste d'uovo leghiste, all'indomani delle elezioni del 4 marzo i grillini quello della Dc. Così andremo avanti 20 anni». Dopo un anno la strategia non è cambiata: il 29 marzo su questo stesso giornale, si ipotizzava che Salvini fosse tentato dalla voglia di sostituire Forza Italia, anche per il futuro, con l'ala governativa dei 5stelle. E in dieci giorni, insieme alle polemiche con il leader della Lega, si sono moltiplicati, però, anche i segnali di Di Maio verso l'elettorato moderato, come pure l'assicurazione dei due vicepremier che l'alleanza gialloverde continuerà anche dopo il voto. «Andremo avanti è la promessa di Salvini anche se qualcuno si farà venire il mal di pancia». Tra «i malpancisti», naturalmente, ci sono i tanti leghisti che considerano l'alleanza con i grillini una scelta suicida, ma pure «i movimentisti» grillini che non vorrebbero vedere il leader del Carroccio neppure in cartolina. «La verità racconta Carelli è che dopo aver vinto le elezioni Luigi ha dato retta alla vecchia guardia grillina. A noi spiegò: Debbo tenere tutti uniti. Sbagli gli risposi tanto quelli se possono ti pugnalano alle spalle. Così per garantire la pace interna abbiamo avuto gli incompetenti al governo. Oggi, di fronte al pericolo, Luigi ha capito che doveva riprendere la vecchia strada. Per restare nella stanza dei bottoni non possiamo non scegliere l'opzione moderata. Per cui i litigi tra lui e Salvini, sono come quelli tra De Mita e Craxi di una volta».

Tra il dire e il fare, però, c'è di mezzo il mare. Sul piano mediatico l'operazione è in corso: domenica sera Di Maio su Raiuno e Salvini sul La7, sembravano davvero De Mita e Craxi, quando occupavano tutti gli spazi televisivi. Poi, però, bisogna convincere l'opinione pubblica. E lì il discorso si fa più complicato. «Ma come si fa a corteggiare prima i gilet gialli e poi la Merkel!», si chiede uno dei consiglieri del Cav, Sestino Giacomoni: «Non sono credibili! Sarà la loro morte, se puntano a sostituire Berlusconi». E anche l'ex uomo ombra di Renzi e di Gentiloni, Filippo Sensi, storce il naso: «Se Di Maio pensa che per riconquistare i voti deve aumentare il suo quoziente democristo, c'è chi, come Fico, che mette in discussione addirittura la Nato, è convinto che il movimento perde perché troppo democristiano».

Per cui, alla fine, anche gli Zelig più scafati rischiano di stancare. Questa settimana, a sentire la maga Ghisleri, i due alleati, magari litigando, sono riusciti a fermare l'emorragia, ma intanto l'indice di gradimento del governo è al 37,8% e il 51,5% degli italiani non crede che sia capace di gestire la crisi economica.

L'ultimo dato, poi, è un epitaffio sulle dinamiche di un anno di politica: il 68,1% degli italiani pensa che la cosa più importante sia aprire un cantiere, mentre solo il 21,5% chiudere un porto.

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