"Sono stati otto anni meravigliosi e brevi". Esordisce così il papà della piccola Bea intervistato dal Corriere nel suo appartamento, al decimo piano di un palazzo popolare. Bea è venuta a mancare solo qualche giorno fa, proprio a San Valentino. Alessandro Naso ha voluto ripercorrere questi anni. "Aveva pochi giorni quando ci accorgemmo che c’era qualcosa che non andava. Le mani. Erano chiuse a pugno. Non riusciva ad aprirle".
La prima diagnosi fu nel 2009, quando Bea aveva due mesi. "Era il 24 agosto 2009, eravamo appena tornati da Rimini. Il pediatra di turno era convinto che non fosse un problema neurologico. Noi pensammo che fosse un medico da due soldi, con rispetto parlando". Passano pochi giorni e arriva il campanello d'allarme definitivo. Bea, mentre la mamma la veste per andare al nido, si rompe il braccio. "La portammo all’ospedale Martini, in ortopedia. Le fecero radiografia e Tac. Ricordo un tecnico che esce dal laboratorio e mostra le lastre al primario. 'Cosa c... è questo?' gli sussurrò a bassa voce. Non aveva mai visto niente di simile". I dottori non sapevano di cosa si trattasse.
"Nel 2011 andammo a Parma, dove c’era un convegno dei migliori genetisti mondiali. Un professorone di Filadelfia spiegò che la casistica era di una ogni sei miliardi, ovvero il numero degli abitanti della terra", racconta sempre il padre di Bea al quotidiano.
Nonostante la vicenda tragica di cui è stato protoganista, Alessandro riesce comunque a concludere il suo racconto con una nota positiva: "Adesso voglio solo ricordare. Ho 36 anni, faccio l’operaio all’Alenia di Caselle, ho avuto una famiglia bellissima. Così va la vita, così è andata la mia".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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