C'è il crocifisso. Quarantamila crocifissi che non devono diventare un pezzo di arredo domestico, tipo pianta ornamentale, ma indicano la traiettoria della vita. Nei cartoncini che li accompagnano, c'è una frase scandita da Bergoglio alla giornata della gioventù in Brasile, nel 2013: «Nella croce di Cristo c'è tutto l'amore di Dio, la sua immensa misericordia».
C'è da tremare: il Cristianesimo che viene assorbito oggi è spesso una spruzzata di buoni sentimenti, condita con qualche nobile pensiero spirituale. Ma la storia di Cristo non è una educazione alle buone maniere e il Papa all'Angelus chiarisce l'equivoco e chiama i fedeli alla responsabilità. Alla strada della croce. La fede - spiega Bergoglio - «non può fermarsi alle parole, ma chiede di essere autenticata da scelte e gesti concreti». Via «le formule preconfezionate», via «la fede miope», ridotta all'esteriorità, alla ripetizione meccanica di parole sacre. Gesù è venuto su questa terra per salvarci, non per consegnarci qualche alchimia avvolta nell'incenso e i santi che l'hanno preso sul serio non sono i santini caramellosi cui spesso sono ridotti, ma un'esplosione di umanità e amore.
Ritorna il mistero della croce. Trecento profughi consegnano le croci. «Vi invito ad accogliere questo dono e a portarlo nelle vostre case - sottolinea Bergoglio -, nelle camere dei vostri bambini, o dei nonni, in qualsiasi parte, ma che si veda nella casa. Non è un oggetto ornamentale, ma un segno religioso per pregare e contemplare».
La croce il più delle volte viene rimossa, quasi con fastidio, incrociando le dita, ma nella grammatica cristiana la conversione passa per il sacrificio. Nel calendario liturgico la festa del Natale, con il calore del presepe, è seguita il giorno dopo dal ricordo di Stefano, il primo martire ucciso per la sua perseveranza. Un ciclo che si apre e si chiude. Non una questione di devozione e mani giunte.
Naturalmente, non tutti sono chiamati a queste prove estreme, tutti però sono pungolati a seguire una misura più grande che non coincide con il nostro metro. Ecco dove sta lo strappo: dentro la routine, dentro la concretezza delle cose, fra le spine delle contraddizioni. Il punto è il nostro orizzonte: la croce è la nostra guida o, alla fine, galleggiamo sui nostri sentimenti e risentimenti? «Spesso nella vita - è la meditazione di Bergoglio -, per tanti motivi, sbagliamo strada, cercando la felicità nelle cose o nelle persone che trattiamo come cose».
Solo qualche giorno fa, il Papa aveva parlato con toni drammatici dei lussuriosi, degli avari, degli iracondi. Declinando le varie sfumature dell'umana fragilità che, se non protetta da Cristo, diventa schiavitù. Dipendenza dai vizi. «L'invidia - aveva aggiunto - è come un'epatite che fa diventare gialla l'anima». E poi aveva coniato una definizione folgorante per la gola: «L'ipocrisia dello stomaco». Sembrava di stare fra le terzine della Divina Commedia, ma è la realtà della deriva contemporanea. L'alternativa è proprio la croce: «La felicità la troviamo quando l'amore, quello vero, ci incontra, ci sorprende, ci cambia. L'amore cambia tutto e può cambiare anche ciascuno di noi, lo dimostrano le testimonianze dei santi».
La via è quella della ricerca di una «relazione personale» con Dio che ha mandato suo figlio. Non ci sono semplificazioni, non c'è destra o sinistra, le solite categorie politiche con cui viene letto e depotenziato il magistero di Bergoglio lasciano il tempo che trovano.
Quella lanciata in piazza San Pietro, due giorni dopo la festa della Santa Croce, è una sfida personale che interroga
ciascuno. Il crocifisso non è una reliquia, ma il compagno di viaggio delle nostre esistenze. Anche se Bergoglio sa bene che la gran parte degli uomini, anche dei cristiani, lo riduce tutti i giorni ad un pietoso souvenir.
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