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Quel perdono che riesuma la Teologia della Liberazione

Il marxista Cardenal era stato sospeso da Wojtyla. Gli altri vescovi "rossi"

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L'immagine di papa Giovanni Paolo II al suo arrivo a Managua il 4 marzo 1983 che rimprovera aspramente il ministro della Cultura del governo sandinista padre Ernesto Cardenal che lo accoglieva, fece il giro del mondo ed è tuttora un documento storico eccezionale. Padre Cardenal, monaco trappista, era stato da subito un sostenitore della Rivoluzione comunista che nel 1979 aveva rovesciato la dittatura filo-americana di Anastasio Somoza ed era entrato nel nuovo governo. «Lei deve regolarizzare la sua posizione» gli disse due volte, con forza, Giovanni Paolo II, riferendosi alle norme canoniche che proibiscono ai sacerdoti di assumere cariche politiche. Padre Ernesto andò avanti come nulla fosse e, puntuale, il 30 gennaio 1985 fu sospeso a divinis, una sanzione che vieta l'esercizio dei ministeri sacerdotali.
Alcuni giorni fa, dopo 34 anni, all'ormai 94enne padre Cardenal, molto malato in un letto d'ospedale, è arrivata la concessione «con benevolenza» dello «scioglimento di tutte le censure canoniche imposte». Firmato: papa Francesco. Che gli ha trasmesso anche la propria benedizione attraverso il nunzio apostolico in Nicaragua, con cui ha potuto subito concelebrare la messa.

Ma quello che a prima vista potrebbe sembrare semplicemente un gesto di misericordia verso un confratello ormai morente, assume invece tutt'altro significato se si considera cosa rappresenta padre Cardenal e lo si mette nel contesto dell'attuale pontificato. Il prete rivoluzionario nicaraguense non si è pentito delle sue scelte, malgrado più tardi sia entrato in contrasto con la leadership sandinista che oggi guida ancora il Nicaragua imponendo una dura repressione. Non per niente, alcuni osservatori hanno detto che ad essersi convertita è la Chiesa e non Cardenal.
Il Nicaragua sandinista è stato il laboratorio della Teologia della Liberazione, che Giovanni Paolo II e l'allora cardinale Ratzinger condannarono per l'evidente subordinazione della fede alle analisi sociologiche ed economiche marxiste. Dio non c'era neanche bisogno di nominarlo perché era nel popolo che si liberava del suo oppressore imperialista. L'unico vero interesse era la giustizia sociale, la cui realizzazione è il segno della volontà di Dio. Il comunismo, nella loro concezione, è la realizzazione del cristianesimo. Si tratta di una questione molto presente negli anni '70 e '80 del secolo scorso, e non solo in America Latina dove i preti guerriglieri erano diventati una realtà familiare. Ma oggi la priorità della giustizia sociale e del Popolo come incarnazione di Dio è tornata di prepotente attualità con questo pontificato. Ne sono prova gli incontri voluti da papa Francesco con i movimenti popolari internazionali (quasi tutti di matrice marxista). Così la riabilitazione di padre Ernesto Cardenal è soltanto l'ultimo di una serie di gesti che vanno tutti nella stessa direzione: riabilitare i vecchi «compagni» colpiti ed emarginati da Giovanni Paolo II.

Nell'agosto 2014 era stata revocata la sospensione a divinis anche all'altro ministro sandinista, il padre Miguel D'Escoto, missionario della congregazione di Maryknoll e altro esponente di punta della Teologia della Liberazione. Per un anno, tra il 2008 e il 2009 fu anche presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove si distinse per i suoi duri attacchi contro Israele a sostegno dei palestinesi (aveva invocato anche l'espulsione dello Stato giudaico dall'Onu).

Ma molti altri sono stati gli apprezzamenti di papa Francesco per le figure più controverse della Teologia della Liberazione. Il brasiliano Leonardo Boff, ex frate francescano, che ha rinunciato al sacerdozio ed è diventato anche leader del movimento no-global nonché ecologista radicale, è stato tra gli ispiratori dell'enciclica Laudato Sì e non ha certo cambiato idea: quando sei anni fa Benedetto XVI si è dimesso, lo ha bollato come «machista e reazionario» e non appena eletto papa Francesco ha annunciato l'arrivo della «primavera dopo un lungo inverno».

Ma anche le visite del Papa nei diversi paesi dell'America Latina sono servite per esaltare le personalità più allineate con la Teologia della Liberazione. Basta citarne due: in Messico (febbraio 2016) ha voluto espressamente andare nel Chiapas a pregare sulla tomba del vescovo «rosso» Samuel Ruiz, pastore di san Cristobal de las Casas, che tra l'altro era accusato di finanziare la guerriglia zapatista con i soldi della diocesi. E in Bolivia (luglio 2015) nel luogo dove nel 1980 fu trovato ucciso il padre gesuita Luis Espinal, impegnatissimo nel promuovere la giustizia sociale per le popolazioni rurali, ma anche autore di quella discussa scultura che il presidente boliviano Evo Morales regalò a papa Francesco: un crocifisso incastonato su una falce e martello.

Ma il ritorno della teologia degli anni '70 è evidente anche nelle nomine episcopali: un mese fa il papa ha accettato con insolita rapidità le dimissioni per limiti d'età dell'arcivescovo di Lima (Perù), il cardinale Jean Luis Cipriani, ritenuto un conservatore, per sostituirlo con Carlos Gustavo

Castillo Mattasoglio, seguace della Teologia della Liberazione, a cui lo stesso Cipriani aveva a suo tempo revocato l'insegnamento nell'Università Cattolica.
È una demolizione sistematica del magistero di Giovanni Paolo II.

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