Il pericolo boomerang

Il pericolo boomerang

Il potere non si bastona quasi mai da solo. Non rinuncia a soldi e privilegi. Quello che è successo ieri a Montecitorio è quindi un fatto abbastanza raro. Meglio così. I deputati hanno detto sì a una riforma che riduce i vitalizi di ieri, oggi e domani. Non è ancora legge, manca il voto del Senato, ma mezza strada è segnata. Poi, certo, può accadere di tutto, tipo metterci otto mesi per arrivare a Palazzo Madama e sussurrare: non abbiamo fatto in tempo, purtroppo la legislatura è finita, ci riproviamo dopo le elezioni. Non sarebbe, in questi tempi, una buona mossa. Il vitalizio non nasce come un privilegio, lo è diventato. Era un corollario della democrazia, un mezzo per consentire, fino al 1970, quando fu varato lo Statuto dei lavoratori, a chi non viveva di rendita di dedicarsi alla «cosa pubblica». Vitalizio, che come termine in realtà è stato abolito nel 2011, significa pensione parlamentare. Se per un periodo di tempo rinunci al tuo lavoro per fare il parlamentare non perdi quegli anni di previdenza. Non è un'invenzione italiana e, messa così, sembra saggia. Sembra. Poi si esagera. Ed è quello che è successo. Secondo uno studio dell'Istituto Bruno Leoni, i vitalizi permettevano a un parlamentare di incassare fino a cinque volte quanto versava di contributi. Ecco come in breve una tutela diventa privilegio. Solo che i parlamentari per decenni hanno continuato a dire: mi spetta; e gli altri, magari invidiosi, a pensare e poi a urlare: è un furto. Il voto di ieri, forse, riduce questa distanza, lo scarto di percezione tra politica e opinione pubblica, tra la «casta» e la «gente». Il potere, acciaccato, che tanto potere poi non è più, riconosce e si adegua allo spirito del tempo. Ed è uno spirito precario. Non ci sono più certezze, neppure sul passato. Questa riforma dei vitalizi rischia infatti di mettere in discussione le storie di ieri. Non quelle grandi, di popoli e nazioni, ma quelle quotidiane, personali, di casa, lavoro e vecchiaia. Molto dipende dai giudici, quelli vestiti di ermellino, quelli a guardia della Costituzione. Se l'alta corte, infatti, conferma che i «diritti acquisiti» non sono sacri e inviolabili, allora tutto il passato torna in gioco. Non solo la pensione dei D'Alema e dei Fini o di Cicciolina. Si rompe un tabù e può accadere che chi ha versato poco e ogni mese riceve molto non può più resistere dietro un «quel che è fatto è fatto». Il passato ritorna in gioco. Tutto torna in discussione. Le pensioni d'oro? Un po' troppo d'oro. Quelli che sono andati in pensione con il retributivo? Vediamo. La reversibilità? Dipende. «Gli interventi sui diritti già acquisiti - dicono i giuristi - sono possibili purché ragionevoli». Non è che sarà una mattanza di assegni previdenziali, ma non c'è più nulla di scontato e sicuro. In fondo, se non si fa qualcosa, il destino dell'Inps è segnato, questo sistema non regge: i giovani guadagnano troppo poco per pagare le pensioni ai vecchi. È il grande dilemma del nostro welfare. Che fare? La crepa nel muro dei diritti acquisiti non risolve tutto, ma crea spazi di fantasia. Non ci sono più paletti, gli spazi di intervento si ampliano, si getta lo sguardo su soldi ritenuti intoccabili. Qualcuno magari si mette lì e ridisegna, più di Dini e più della Fornero, il sistema previdenziale. Con un grande vantaggio, però: la prospettiva è molto più ampia. Non c'è sulla mappa solo un pezzetto di ieri e quel futuro che chi verrà domani dovrà scontare. La prossima volta si può giocare sul passato, territorio inesplorato. Non pagheranno solo quelli che non sono ancora arrivati a riva, ma anche chi si sentiva su una spiaggia sicura.

L'incertezza non ha più ripari generazionali. Si esagera? Forse. Ma tra quelli che ieri a Montecitorio hanno votato sì qualcuno ci starà pensando. Oggi a noi, domani a voi. La vendetta è un piatto che si consuma freddo.

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