Che disastro la politica italiana in Libia. Abbiamo un capo di governo che sembra emulare papa Francesco assicurando pubblicamente che mai e poi mai farà la guerra, al punto da negare persino l'uso della parola «guerra», quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno già inviato le loro forze speciali a presidiare i pozzi petroliferi e corteggiano l'Italia affinché assuma la guida di una coalizione internazionale per riscattare la sovranità e ripristinare condizioni di sicurezza e di stabilità a soli 300 chilometri da casa nostra.
Abbiamo un ministro degli Esteri che ha realizzato un capolavoro diplomatico riuscendo a inimicarci tutti, proprio tutti, i protagonisti che contano sul territorio: il governo riconosciuto internazionalmente riparato a Tobruk; il governo dei Fratelli musulmani che ha usurpato il potere insediandosi con la forza a Tripoli; i terroristi islamici dell'Isis e di Ansar al Sharia che controllano parte del litorale e dell'entroterra. Sarebbe proprio una beffa se il comune odio nei confronti dell'Italia, così come attestano le bandiere italiane bruciate a Tobruk, a Derna e a Bengasi e i cartelli contro un ipotetico intervento militare e un'immaginaria occupazione, riuscisse a rinsaldare un fronte eterogeneo di nemici acclarati che si contendono il monopolio del potere.
Dopo avere perso il ruolo privilegiato di principale partner energetico ed economico della Libia di Gheddafi, subendo la guerra scatenata da Sarkozy nel 2011, ora l'Italia rischia paradossalmente di essere additata come il nemico comune di tutti i libici, pagando le conseguenze di un caos che non avremmo mai voluto e che ha danneggiato principalmente proprio noi.
Nel comportamento del governo italiano, che più direttamente ha gestito il lungo travaglio del cosiddetto Governo di unità nazionale e Consiglio presidenziale guidato dal primo ministro Fayez al Sarraj, designato dall'Occidente e non eletto dai libici, c'è un palese paradosso. Abbiamo fatto la guerra per scalzare dal potere Gheddafi, condannato come il tiranno, scoprendo che era un tiranno dopo 32 anni che stava al potere, nel corso dei quali lo abbiamo lungamente coccolato e sostenuto. Abbiamo fatto quella guerra sostenendo che bisogna affermare la democrazia e dare la libertà al popolo all'insegna del mito della Primavera araba. Oggi invece si vorrebbe imporre ai libici un governo fantoccio che è rifiutato e disconosciuto da tutti i protagonisti che contano sul territorio. Ma come potrebbe quest'Occidente, trainato da Barack Hussein Obama, risultare credibile quando dopo avere ucciso un tiranno, che quantomeno si è imposto dall'interno della Libia, vorrebbe imporre una testa di legno imposta dall'esterno della Libia per tutelare gli interessi petroliferi di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia?
All'interno di casa nostra, è doveroso domandarci se l'Italia può essere governata da un Renzi che lo scorso 6 marzo ha detto «con me presidente in guerra non ci si va». Che lo dica Papa Francesco è giustificabile, trattandosi del capo della Chiesa cattolica universale, pur prendendo atto che sarebbe un suicidio limitarsi a subire la violenza dei terroristi islamici senza reagire. Ma è inammissibile che il capo del governo di una grande nazione come l'Italia, nel corso di un intervento pubblico in televisione, escluda categoricamente l'uso legittimo della forza dell'esercito nazionale a salvaguardia della vita dei cittadini e della sicurezza dell'Italia. Renzi è arrivato al punto di dire che noi non dovremmo neppure usare la parola «guerra» perché, dal suo punto di vista, «finisce per fare il gioco dei nostri nemici (). La guerra è fatta da stati sovrani, il terrorismo da cellule pericolose o spietate che non meritano di essere considerate stati sovrani. Loro vogliono farsi chiamare Isis, Stato islamico. Noi li chiamiamo Daesh». A parte che Daesh è l'acronimo in arabo di Isis, quindi è la stessa cosa, Renzi continua a non capire o a fingere di non capire che la guerra già c'è, non siamo noi a doverla proclamare, che non la si esorcizza rifiutandosi di nominarla.
Oggi l'Italia ha bisogno di un capo di governo e di una classe politica
che siano consapevoli e determinati a fare la guerra contro il terrorismo islamico per vincere, perché diversamente la guerra la subiremo comunque, finendo per essere sconfitti e sottomessi all'islam.Magdi Cristiano Allam
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.