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Un premio per raccontare il dramma della fame nel mondo

"Azione contro la Fame" è un premio per segnalare e valorizzare i servizi giornalistici e fotografici, ma anche le opere saggistiche, che mirano a favorire una sensibilizzazione diffusa sul tema della lotta alla fame e alla malnutrizione infantile nel mondo.

Tra i tanti effetti del Covid-19 ce n'è uno troppo spesso dimenticato: la fame. Già perché l'aver "congelato" il Paese per così tanto tempo attraverso i lockdown, ha provocato una grave crisi economica che si è tradotta in un aumento di persone che non sanno come mettere insieme il pranzo con la cena, come ha spiegato Federica De Lauso dell’ufficio studi Caritas italiano, in un'intervista ad AdnKronos: "Al momento i nuovi poveri sono la metà delle persone che si rivolgono alle nostre strutture, stiamo parlando del 48%, rispetto al 31% della pre-pandemia. Aumentano gli italiani, le donne con figli minori e le fasce giovanili, toccate dal precariato e dai contratti a tempo determinato".

Questo problema, che a torto si è confinato come riguardante solamente gli altri Paese, si sta diffondendo sempre di più anche da noi. Ed è proprio per sensibilizzare ancora di più l'opinine pubblica su questo tema, che è nato il Premio "Azione contro la Fame", organizzato e promosso dalla fondazione "Azione contro la fame Italia". Un premio che ha come obiettivo quello di segnalare e valorizzare i servizi giornalistici e fotografici, ma anche le opere saggistiche, che mirano a favorire una sensibilizzazione diffusa sul tema della lotta alla fame e alla malnutrizione infantile nel mondo. Una vera e propria piaga che colpisce a tutte le latitudini e che e già nel 2019, prima del Covid, ha coinvolto 690 milioni di persone nel mondo.

L'obiettivo del premio è quello di rendere note al grande pubblico le principali cause strutturali e le conseguenze della fame, concentrandosi - più che sugli aspetti stilistici del progetto editoriale, giornalistico o fotografico presentato - sull’approccio narrativo e documentaristico adottato e sulla capacità di raccontare la contemporaneità della fame e la contrapposizione tra la modernità e questa piaga inaccettabile, che colpisce i Paesi del Sud del mondo e, seppure in forme diverse, anche l’Italia. Le iscrizioni sono gratuite e aperte fino al 30 giugno 2021, possono essere comunicate cliccando qui e compilando un breve form.

Tra i giurati di quest'anno, anche Fausto Biloslavo, che ci racconta: "Ogni guerra è combattuta anche con l'arma della fame. Io non ho solo visto la fame. L'ho anche provata personalmente, quando ero in Afghanistan negli anni Ottanta, durante l'invasione sovietica. I sovietici bombardavano i campi, e ricordo che c'era poco da mangiare. I mujaheddin ci rivelarono un segreto: quando avevano fame – e noi che eravamo lì abbiamo fatto come loro – erano soliti inserire un tabacco allucinogeno sotto la lingua. Questo li faceva resistere alla fame. Provocava allucinazioni ma chi lo utilizzava poteva resistere alla fame".

Parlare di fame è ancora oggi molto importante, racconta Biloslavo, mentre ci spiega la natura del Premio: "Penso che questo concorso sia giusto e doveroso, anche per accendere i riflettori su un flagello dell'umanità, quello della fame, del quale troppo spesso ci siamo dimenticati. Pensiamo che faccia parte del passato remoto ma non è così. Ci sono ancora centinaia di milioni di persone nel mondo che, già prima della pandemia, pativano la fame. Ci sono inoltre aree del pianeta - penso all'Africa e non solo - dove si convive ancora oggi con la fame, mentre le carestie decimano le popolazioni. Bisogna accendere i riflettori su questo flagello. Invito tutti i colleghi ma anche i giovani, con i loro articoli e reportage e fotografie, a partecipare a questo concorso. È un concorso che serve ad accendere i riflettori su uno dei flagelli dell'umanità".

C'è un'immagine, però, che più di tutte racconta la fame, secondo Biloslavo: "In Ruanda, avevo visitato alcuni villaggi dati alle fiamme. La popolazione non c'era più, in un primo momento si era nascosta in una chiesa vicina, poi completamente massacrata a colpi di bombe a mano. Stavo osservando, quando gli uomini che mi stavano scortando erano pronti a sparare. Li ho fermati. Sono andato a vedere che cosa avevano puntato e ho notato gli occhi di un bambino che mi guardava terrorizzato. Era l'unico sopravvissuto a quel massacro. Da tre giorni viveva nella foresta senza niente da mangiare. Si nutriva solamente di bacche. Dopo un primo attimo di terrore mise le sue braccia attorno al mio collo. Gli ho dato acqua e biscotti, e si è lanciato sopra quel cibo come una furia. Lì ho visto il volto della fame.

Grazie a questo bambino abbiamo scoperto anche uno dei più grandi genocidi avvenuti in Ruanda".

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