Cronaca locale

Quel pugno a Roma e a tutti noi

Quel pugno a Roma e a tutti noi

Dicono che Roma abbia un nome segreto. Qualcuno racconta che sia un palindromo, c'è chi giura che sia Petra o Mir o Rumis (mammella), qualcun altro, facendo sponda su Ovidio, sostiene che sia Maia, la stella più luminosa delle Pleiadi. Nessuno in realtà lo conosce. Pronunciarlo è sacrilegio. Il mistero serve a difendere la città eterna dai suoi nemici. Non puoi evocare un maleficio se ignori il nome della vittima. Forse quel segreto è stato violato. Roma sembra maledetta.

Roma non è più qui. È vittima appunto di un sortilegio, un maleficio. È inutile stare qui a stupirsi, battersi il petto o piangere sulla bellezza perduta. Roma è un non luogo e un non tempo. È sospesa. Guardatela. È ferma, stagnante, putrida, nessuno prende una decisione, non c'è una visione, non c'è un futuro e sta diventando difficile persino immaginarla. A Roma si sopravvive spersi e disorientati. La sua eternità è sprofondata nel presente e l'Urbe qui e ora sta cadendo a pezzi, come se tutti i suoi secoli si rivelassero in un solo attimo. Roma è lo specchio dell'Italia e ha il volto di una megera. Vivere dentro questo brutto incantesimo può far impazzire. È quello che sta accadendo. Ognuno poi questa follia la vive a modo suo.

Non ci sono scuse per un tassista che prende a pugni un cliente appena arrivato a Fiumicino. È surreale. L'uomo chiede di far partire il tassametro. Il tassista considera questa richiesta banale e legittima un'offesa. Non lo fa salire e prende un altro cliente. L'uomo bussa al finestrino, uno, due, tre volte. Il tassista apre la portiera dell'auto, scende e sferra un pugno sul naso. Nessuno dice nulla, tutti si girano dall'altra parte, come automi distratti. È la ricerca ostinata di una normalità. Chiudi gli occhi e ti ripeti che non c'è nulla di strano. È una strategia per sopravvivere. Tutto quello che non vedi non esiste. Roma non esiste. Non esistono i crateri sulla strada. Non esistono gli autobus che bruciano, la metro diroccata, i negozi che chiudono, i turisti che bestemmiano (...)

(...) e scappano via, il lavoro che sparisce, le case fatiscenti, la disillusione come sentimento diffuso. Roma puzza. L'odore ti si appiccica addosso e ti segue. Roma è topi e monnezza. Solo che ormai non ci fai neppure più caso. È così. Allarghi le braccia e giorno dopo giorno ti adegui alla rassegnazione del sindaco. Roma assomiglia a Virginia Raggi. Non è colpa sua. È come se lei fosse una statuetta di argilla che incarna lo spirito di ogni romano. Tutti come lei.

I rifiuti raccontano meglio di qualsiasi altra cosa questa sospensione spazio-temporale. I mucchi di immondizia sono evidenti. Ci passi avanti, li vedi, li senti. Ti aspetti che prima o poi si arriverà a una soluzione. Passano gli anni e non accade nulla. Aprire un'altra discarica dopo la chiusura di Malagrotta? Non si può. Disegnare un piano per lo smaltimento? Impossibile. La Regione Lazio di Nicola Zingaretti ha rinunciato al termovalorizzatore. La realtà è che nessuno ha voglia di sporcarsi le mani con i rifiuti. Troppo complicato, qualsiasi cosa fai ti devi scontrare con i movimenti ambientalisti da una parte e gli affaristi e le ecomafie dall'altra. Meglio restare fermi. È la politica dell'inerzia.

Roma, vecchia come il mondo, ne incarna le paure. Chi la tocca muore. Ci vuole coraggio per governarla. Nessuno vuole davvero averci a che fare. Per i grillini è il fantasma di un fallimento. Per il Pd, anche se lo rivelano solo allo psicanalista, è la città dove si sono venduti l'anima. Per Salvini un sogno troppo costoso. Per la Meloni un destino da non assecondare. È meglio lasciarla lì, sospesa, sperduta, capitale di un limbo. Ora però sappiamo cosa accade nel limbo. Tutto quello che c'è dentro marcisce. Non ti riconosci. Non sai chi sei. Non hai diritti e neppure doveri. Aspetti sperso nel nulla. Tutti, uno dopo l'altro, impazziscono.

Tutti, uno dopo l'altro, voltano lo sguardo dall'altra parte.

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