Questi struzzi ci fanno fallire

Questi struzzi ci fanno fallire

Giovedì sera, nel corridoio dei ministri di Montecitorio, un attimo dopo che il premier Giuseppe Conte ha apparecchiato in aula la solita solfa sulla manovra più espansiva del mondo a cui crede solo lui, l'eminenza grigia della politica economica del governo, Paolo Savona, che qualcuno descrive sull'orlo di dimissioni polemiche per una linea che con condivide, svela il mistero che non c'è. «Sento tante voci - spiega - su quello che dovrei avere in testa. Dicono che sono preoccupato, ma in realtà credo che sia andata meglio del previsto. I mercati hanno reagito, di fatto, senza grossi sbalzi alle decisioni della commissione, dimostrando ancora una volta di essere i più saggi. Addirittura più saggi di me».

Magari di fronte a una tempesta finanziaria il dott. Stranamore, il guerrafondaio del governo, avrebbe potuto vestire anche i panni del messaggero di pace con l'Europa. Già. Ma se la notizia che la commissione Ue ha aperto una procedura d'infrazione contro l'Italia non ha provocato scossoni, se lo spread, punto più punto meno, è bloccato su quota 310, perché farlo?

Paradossalmente è proprio questa condizione il punto di forza, ma anche il tallone di Achille, per non dire la grande follia di questo governo. È la ragione che blocca ripensamenti o decisioni forti sulla manovra. E favorisce la politica dello struzzo, del tenere la testa sotto la sabbia, del far finta di niente in attesa dell'Armageddon delle elezioni europee, che, secondo il credo sovranista, spazzerà via gli attuali padroni dell'Ue. Lo spread che staziona attorno ai 300 punti dà la forza a Salvini per rispondere ancora a muso duro a Bruxelles: «Non siamo accattoni». O per dire: «I mercati hanno capito che è una buona manovra». O, ancora, dà lo sprint a Di Maio per ironizzare sui giornali che un giorno lo vedono rigido nella trattativa con l'Ue, un altro disponibile: «Sono confusi e alla fine confondono anche me». Oppure per annunciare che ha già ordinato la stampa di sei milioni di tessere per il reddito di cittadinanza.

Loro, i due vicepremier, ormai si sono abituati a quota 300. Non soffrono di vertigini, non ne sono più impressionati. I problemi sono di Conte, che si è accollato il fardello di modificare una manovra che non può cambiare, visto che reddito cittadinanza e interventi sulle pensioni, cioè i due pomi della discordia con l'Ue, sono totem intoccabili per gli azionisti di maggioranza del governo. Così i suoi tentativi somigliano tanto al «facite ammuina» di scuola borbonica. Oppure i guai sono del ministro dell'Economia Tria, ormai in piena confusione: da Cassandra ripete che mesi di spread a 300 punti procurano danni; da Arlecchino servitore di due padroni, si sforza di dimostrare che la manovra va bene così. «La verità è - osserva Guido Crosetto, consigliere della Meloni - che la mancata tempesta per certi versi è un male: fa coltivare cattive illusioni».

La battuta di Crosetto può anche apparire contraddittoria o, addirittura, cinica, ma ha una sua ratio: uno choc ora avrebbe indotto il governo a cambiare strada; invece, in questa situazione, la strada più facile è continuare a cullarsi nell'illusione, senza accorgersi che uno spread a 300 punti, protratto per mesi, nel tempo può fare danni ben più gravi di una tempesta finanziaria che duri una settimana. Basta leggere il Rapporto sulla stabilità finanziaria di Bankitalia, secondo cui il caro spread nell'ultimo semestre ha aumentato la spesa per interessi di 1,5 miliardi di euro. E, se la situazione rimanesse l'attuale, aumenterebbe di 5 miliardi nel 2019 e di 9 nel 2020. In altre parole costerebbe nel biennio come il reddito di cittadinanza. Alle stesse conclusioni arriva anche il rapporto della Peterson Institute for international economics, una delle Bibbie dei fondi internazionali di investimento. E questo spiega perché l'ultima asta per i Btp sia stata tutt'altro che affollata.

Ora questa situazione può anche non destare paure nei 5stelle, che per cultura e retroterra elettorale, hanno altre sensibilità. Del resto il sottosegretario all'Economia, Laura Castelli, già addetta alla sicurezza presso lo stadio comunale di Torino, ha spiegato in tv all'ex ministro dell'Economia, Padoan, già ex direttore del Fmi e capo economista dell'Ocse, che l'aumento dello spread non ha ripercussioni sulle famiglie. Facendo rizzare i capelli, va detto, anche a qualche grillino acculturato. «E certo che sono preoccupato!», ammette Matteo Dell'Osso, deputato con una laurea in ingegneria elettronica: «Il problema, però, è uno solo: io che ho studiato non sono al governo, chi non ha studiato c'è. La questione è tutta qui».

Ma se i grillini certe distrazioni possono permettersele, la Lega, per altri versi, no: gli elettori del Nord, le piccole e medie imprese, sono attenti, infatti, a ciò che avviene in Borsa, allo spread, alla condizione degli istituti di credito. E la politica dello struzzo non solo non li convince, ma li terrorizza. Ecco perché nel Carroccio, tra i vari Giorgetti e Garavaglia, magari con la sponda di Savona, si tenta di aumentare nella legge di bilancio le risorse per gli investimenti e di diminuire la zavorra del reddito di cittadinanza. «Ci stiamo provando», ammette il sottosegretario all'Economia, Garavaglia. Trovando, sembra assurdo, una sponda anche in personaggi agli antipodi della Lega, come Pier Luigi Bersani. «Ma come non può preoccupare uno spread a questi livelli!», sbotta l'ex segretario del Pd: «100 punti in più di spread si mangiano lo 0,7% del Pil. Visto che il prossimo anno, ma non ci credo, al massimo faremo uno 0,8 in più, con lo 0,7 in meno siamo fermi. Di fatto in recessione. Ed il problema non è quel 2,4% di rapporto deficit-pil, quanto questa manovra fatta a c... di cane. Bisognerebbe portare le risorse sugli investimenti per dimostrare all'Europa che ci stiamo dando da fare».

I leghisti sull'esigenza di spostare soldi sugli interventi nelle infrastrutture, ad esempio, sono più che d'accordo, solo che debbono fare i conti con il muro dei 5stelle. E ciò rende l'operazione, difficile se non impossibile. È uno dei motivi degli stress quotidiani della maggioranza di queste settimane: l'insofferenza degli elettori del Nord verso la manovra, verso il reddito di cittadinanza, trasmette nervosismo nelle file del Carroccio. E il primo a saperlo è Salvini, che, infatti, quando è lontano dalle orecchie della politica, nelle conversazioni con un amico romano di vecchia data, ammette con sincerità: «Nella Lega l'unico che non vuole rompere con i grillini sono io. Gli altri lo avrebbero già fatto da un pezzo». E proprio per non rompere l'unica strada è la politica dello struzzo, che non fa male alla maggioranza gialloverde, ma sicuramente rischia di essere letale per il Paese.

A meno che lo stato maggiore di Forza Italia non riesca ad accontentare il Cavaliere, che, da imprenditore, è terrorizzato dalla politica economica del governo Conte. «Cercate 7-8 senatori - è stato il suo ordine nell'ultimo vertice - convinceteli che così non si può andare avanti. Questo governo deve cadere».

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