Riforma elettorale, il rinvio di sette giorni sposta il voto al 2018

Il calendario parlamentare frena la corsa di Renzi verso il voto anticipato

Riforma elettorale, il rinvio di sette giorni sposta il voto al 2018

Il copione è lo stesso di un film andato in scena solo pochi mesi fa quando, appena azzoppato dal referendum e decisamente poco lucido, Matteo Renzi non faceva che ripetere in privato di voler andare a elezioni anticipate prima dell'estate. Oggi la sceneggiatura non cambia, se non per l'orizzonte temporale che il segretario del Pd ha spostato alla fine di settembre, massimo inizio ottobre. Come uguale è l'irritazione di Sergio Mattarella, che continua a considerare la tentazione delle urne un azzardo scellerato con annesso il rischio che si possa arrivare all'esercizio provvisorio. E identico sarà con ogni probabilità il finale della sceneggiata, visto che la finestra per un voto anticipato dopo l'estate si fa sempre più stretta, non solo politicamente ma anche sotto il profilo del calendario.

Il fatto che ieri la commissione Affari costituzionali della Camera si sia presa una settimana di tempo per provare a sbloccare l'impasse, infatti, è la certificazione che sulla questione legge elettorale il Pd non ha ancora le idee chiare. Oppure, come ripete Renzi nelle sue conversazioni private, ha il timore che qualunque modifica parlamentare sia per il Pd comunque peggiorativa rispetto al sistema con cui si voterebbe senza alcun intervento legislativo. Qualunque sia la ragione, è evidente che se davvero l'ex premier vuole continuare a spingere sull'acceleratore delle elezioni anticipate deve quantomeno presentarsi da Mattarella con una legge che abbia armonizzato i sistemi di voto di Camera e Senato, proprio come auspicato dal capo dello Stato. È questa, infatti, l'unica vera chance che ha Renzi di riuscire a superare le perplessità del Colle.

Il tempo, però, stringe e non è affatto scontato che il testo base della legge elettorale sia presentato entro l'11 maggio, così da riuscire a rispettare per l'approdo in aula il termine del 29 maggio (quando sarà ancora possibile contingentare i tempi di discussione). E anche se fosse, per riuscire a completare la prima lettura a Montecitorio entro l'estate ci vorrà una forte volontà politica, visto anche che la Camera è destinata a sospendere i lavori nelle due settimane che precederanno le amministrative (11 e 25 giugno). A quel punto la palla passerebbe al Senato, dove i numeri del Pd sono ben più risicati e solo a suon di fiducie (come sull'Italicum, peraltro) la maggioranza sarebbe sicura di arrivare all'approvazione definitiva in tempo per sperare di votare a fine settembre. L'ipotesi di un decreto, d'altra parte, è solo di scuola. Mercoledì Renzi l'ha fatta veicolare dai suoi - il capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato in primis - per testare il terreno e ieri è arrivato lo stop del presidente del Senato Piero Grasso secondo cui «non si può non avere una legge elettorale approvata da entrambe le Camere».

Anche riuscisse la corsa contro il tempo del doppio via libera di Montecitorio e Palazzo Madama per inizio settembre - scenario che ad oggi appare a dir poco improbabile - il pallino sarebbe comunque nelle mani di Mattarella che in questi mesi ha più volte fatto arrivare a Renzi l'eco delle sue perplessità su eventuali elezioni anticipate. Non tanto o non solo per una campagna elettorale che si aprirebbe di fatto ad agosto, quanto perché pur ipotizzando di andare alle urne l'ultima settimana di settembre non si potrebbe non impattare pesantemente con la presentazione della legge di Bilancio che deve avvenire tra il primo e il 15 ottobre. Con una manovra che già adesso vale 16 miliardi ma che potrebbe arrivare anche a 30 e con gli occhi di Bruxelles puntati sui nostri conti, sarebbe davvero azzardato trovarsi nel guado, magari con un risultato elettorale dal quale non emerge un chiaro vincitore (scenario peraltro probabile) e il Quirinale impegnato in difficili e lunghe consultazioni.

Se non si riuscisse a formare un governo, infatti, il rischio sarebbe quello dell'esercizio provvisorio, con tutto ciò che comporta il fatto che il Parlamento non approvi il bilancio preventivo. Anche per questo il voto a settembre appare sempre più lontano. E forse anche Renzi, che per ora non sta forzando sulla legge elettorale, ne sta prendendo coscienza.

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