Se il «Corriere» assegna il Nobel a Franceschini

Gli echi di Fellini. Le atmosfere di Olmi. Il tocco di Lelouch... Dobbiamo confessarlo, e fare ammenda. Sfogliando il nuovo libro di Dario Franceschini, la raccolta di racconti Disadorna, ci erano sfuggite le profonde implicazioni letterarie, i diversi livelli di lettura, la ricchezza di citazioni implicite del testo... Per fortuna ce le ha svelate, tutte, ieri, il Corriere della Sera, recensendo l'ultima opera (ultima in ordine di tempo, speriamo sia solo un nuovo capitolo di una lunghissima serie) del nostro ministro per i Beni culturali, ferrarese, pubblicato dalla casa editrice La nave (...)

(...) di Teseo di Elisabetta Sgarbi, ferrarese, e che sarà presentato sabato (a Ferrara) dalla giornalista televisiva Daria Bignardi, ferrarese. Può succedere. E bene ha fatto l'ottimo collega (la prima firma del quotidiano di via Solferino in materia di Beni culturali, dicastero del quale - può succedere - lo scrittore Dario Franceschini è titolare), segnalare il valore di una raccolta di storie brevi che «mette insieme destini minimi e in sospeso», in una parola «la vita»: venti micro-racconti «che hanno la capacità di sorprendere chi legge, di prendere in contropiede». E bene fa, il critico, a segnalare tutte le allusioni e le reminiscenze letterarie dei racconti: qui «una traccia felliniana», là un personaggio che «Mario Monicelli avrebbe amato», lì «un retrogusto di on the road»,

qua «una sequenza strappata a Lelouch». Del resto quando nel 2007 l'autore pubblicò il romanzo La follia improvvisa di Ignacio Rando (Bompiani), l'Unità, il Corriere della Sera e Vanity Fair osarono qualcosina in più, e fecero il nome di Gabriel García Márquez per quel tocco di «realismo magico» ambientato tra le nebbie padane... Allora Franceschini non era ancora ministro, e quindi la critica poteva permettersi un maggiore distacco dall'opera. Per quanto - mette in guardia il giornalista del Corriere della Sera, ricordando i successi editoriali di Franceschini in Francia - «parlare dell'opera letteraria di un politico, nel nostro sospettoso e sarcastico Paese, è sempre un'impresa rischiosa». E giustamente: ma perché mai trattenere l'entusiasmo verso l'opera di uno scrittore che, incidentalmente, è anche uno dei ministri più potenti della Repubblica e, come da voci che si rincorrono da mesi, prossimo possibile premier? «Sarebbe giusto - conclude la recensione - che un lettore fingesse di essere francese, dimenticando il peso politico

di Franceschini, per formulare un giudizio sereno, non inquinato dai veleni del Palazzo e del Potere».

Giusto, giusto! Ed è proprio con giudizio sereno - lo stesso che ci spinge a inserire una nuova triade nel canone dei classici italiani, dopo Dante-Petrarca-Boccaccio, Machiavelli-Ariosto-Tasso, Alfieri-Parini-Foscolo, Verga-D'Annunzio-Pirandello, la «corona» Veltroni-Scalfari-Franceschini - che salutiamo con entusiasmo, se possibile ancora maggiore del Corriere della Sera, questo fortunato incontro, del tutto fortuito, forse da Nobel, tra letteratura e politica.

Luigi Mascheroni

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