Politica

La solitudine di Mattarella costretto a dire sì

Con Tria depotenziato e Moavero che punta all'Ue, il presidente non ha sponde. Ragioneria in allarme: finirà peggio del 2011

La solitudine di Mattarella costretto a dire sì

Nelle stanze che contano sul Colle se ne parla ormai da qualche settimana. Da quando è apparso chiaro a tutti che Luigi Di Maio e Matteo Salvini sarebbero andati avanti a forzare la mano sul rapporto deficit-Pil al 2,4%. È da allora che i consiglieri più stretti di Sergio Mattarella si chiedono fino a che punto potrà spingersi il Quirinale se alla fine la manovra non dovesse assicurare l'equilibrio di bilancio, mettendo quindi a rischio la tenuta dei conti dello Stato. Tutti sono arrivati alla medesima conclusione: anche se la legge di bilancio dovesse violare gli articoli 81 e 97 della Costituzione, per il presidente della Repubblica sarebbe politicamente insostenibile decidere di non controfirmarla. Al di là del merito della questione, infatti, per M5s e Lega l'eventuale bocciatura del Quirinale diventerebbe uno straordinario argomento propagandistico. A quel punto, infatti, il governo potrebbe scaricare su Mattarella la responsabilità del probabile show down con la Commissione Ue, come l'eventuale fallimento delle politiche economiche dell'esecutivo. Il Colle, insomma, diventerebbe una sorta di parafulmine permanente, come è già successo nei giorni della formazione del governo, quando Di Maio arrivò finanche a chiedere un improbabile impeachment del capo dello Stato, reo semplicemente di aver fatto valere le sue prerogative.

Insomma, nonostante la Ragioneria generale dello Stato abbia fatto informalmente sapere al Colle che andando avanti per questa strada «a dicembre si rischia di entrare in una fase più critica di quella del 2011», Mattarella potrebbe comunque avere le mani legate. Perché se decidesse di non firmare la manovra e la maggioranza dovesse ripresentargliela uguale identica, lo scenario che si verrebbe a delineare sarebbe quello di una sfiducia di fatto del Parlamento al presidente della Repubblica. Insomma, uno scontro istituzionale senza precedenti. È per tutte queste ragioni che il capo dello Stato ha margini di movimento strettissimi. A meno che la situazione dei mercati non lo legittimi al gesto estremo di non controfirmare la legge di Bilancio. Solo con uno spread sopra i 500 punti e le Borse sull'ottovolante, il Colle avrebbe infatti l'agibilità politica per mettersi davvero di traverso.

D'altra parte, non è un mistero che negli ultimi mesi la moral suasion del Quirinale abbia perso terreno anche all'interno del governo. Il ministro dell'Economia Giovanni Tria è del tutto delegittimato ed è ormai considerato una sorta di comparsa pure a via XX Settembre. Non è un caso che qualche giorno fa la sua alzata di testa su Alitalia sia stata rispedita al mittente con sufficienza. «Se Tria non si sente a suo agio, può tranquillamente dimettersi», ha fatto sapere in giro Di Maio. Al suo posto già scalda i motori il responsabile delle Politiche Ue Paolo Savona, che proprio giovedì scorso è intervenuto alla Camera sul Def, facendo le veci di Tria in missione a Bali per un meeting della Banca mondiale e del Fondo monetario. Minata ormai irrimediabilmente l'autorevolezza del ministro dell'Economia, è evidente che anche la spinta di Mattarella attraverso quel canale si è andata indebolendo.

Diverso, invece, il caso di Enzo Moavero Milanesi, altro ministro considerato «vicino» al Colle. Nei primi mesi di legislatura il titolare degli Esteri ha cercato per quanto possibile di farsi garante presso l'Europa del fatto che il governo gialloverde non perseguiva alcun piano B. Al punto che in alcune riunioni lo staff della Farnesina ha giocato a zona sugli uomini del Dipartimento per gli Affari europei, proprio nel tentativo di «arginare» l'euroscettico Savona. D'altra parte, Moavero non solo sedeva proprio su quella poltrona nei governi Monti e Letta ma è da sempre un convintissimo europeista. Un afflato, raccontano in quel di Palazzo Chigi, che in questi ultimi tempi si sarebbe andato quietando. I maligni ipotizzano che il ministro degli Esteri ambisca alla poltrona di Commissario Ue, per la quale - dopo le Europee del 2019 - sarà comunque necessario il benestare di Di Maio e Salvini. Con loro, insomma, è meglio non andare allo scontro.

Un altro canale, dunque, che si va affievolendo.

Commenti