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Squadra in alto mare ma c'è già la corsa per salire a bordo

Non è questo il momento di impiccarsi ai nomi. Mario Draghi sta cercando di dare forma alla sua maggioranza e anche questo lavoro non è solo una questione di "ci sto" o "non ci sto".

Squadra in alto mare ma c'è già la corsa per salire a bordo

Non è questo il momento di impiccarsi ai nomi. Mario Draghi sta cercando di dare forma alla sua maggioranza e anche questo lavoro non è solo una questione di «ci sto» o «non ci sto». È capire dove si vuole arrivare, per fare cosa, con quali mezzi, lungo quali strade e se c'è davvero la volontà di lasciarsi alle spalle le miserie di partito. Non è l'ora.

La fatica di Draghi è dare un senso al governo. È un «governo del presidente»? All'inizio sembrava di sì. Fiducia piena a Draghi per salvare l'Italia prima delle rapide. Il governo dei migliori, forte, autorevole, benedetto da Mattarella e con un presidente del Consiglio che non è in cerca di consenso, perché il suo approdo, a fine impresa, è il Quirinale. Non ci sarà mai un «partito di Draghi». L'impressione è che questa idea non piaccia a gran parte delle forze politiche. Lo si vede da come Pd, Cinque Stelle e anche la Lega si stanno muovendo: rivendicano un governo politico. Non si fidano o è troppo forte il richiamo della poltrona. Risultato: in tanti fanno finta di non vedere il «governo del presidente».

La cecità spinge a immaginare un esecutivo meticcio: vanno bene i tecnici scelti da Draghi, ma sorvegliati dai politici. È così che i discorsi stanno scivolando sui nomi. Ogni partito della futura maggioranza, si spera il più larga possibile, sta preparando l'elenco da cui scegliere due o tre sentinelle.

Nel Pd spuntano i nomi di Andrea Orlando e dei «veterani» Dario Franceschini, Francesco Boccia e Roberto Gualtieri (non si sa se sempre al dicastero dell'Economia). I Cinque Stelle sono ancora alla ricerca di una rotta e qualsiasi nome di potenziale ministro serve a riaccendere il parapiglia interno. Si dice che Luigi Di Maio farà di tutto per starci e come figura autorevole non si va oltre la figura di Stefano Patuanelli, che come ministro dello Sviluppo economico non ha sfigurato o, perlomeno, non ha fatto danni. Il problema è capire in che modo stare con Draghi. Grillo è arrivato a Roma non soltanto come capo delegazione, ma anche per tenere a bada la banda di deputati e senatori in fibrillazione, ormai in disaccordo perenne, ma costretti a accettare tutto per non ritrovarsi fuori dal palazzo. Hanno detto sì a Salvini e poi al Pd, diranno sì a Draghi, di fatto l'unico a cui hanno detto no è Bersani. Acqua passata.

E la Lega? La Lega si avvicina ogni giorno di più. Il profilo ministeriale quasi scontato è Giancarlo Giorgetti. È lui che interpreta le ragioni degli imprenditori del Nord. Rassicura. Il vestito europeista non deve andare a recuperarlo da qualche parte nell'armadio. La questione invece è Salvini. Matteo nel governo Draghi non ci vuole stare da clandestino e continua a ripetere che in questa storia vuole metterci la faccia. Quando la voce è arrivata ai notabili del Pd sono sbiancati. Salvini? Ma come lo spieghiamo un governo con Salvini? Chiedono con un po' di ipocrisia. La Lega in maggioranza si può forse digerire, l'importante è che lui se ne stia nascosto. Sono già andati a lamentarsi da Draghi, che ha fatto notare di non aver ancora parlato con Salvini. È inutile preoccuparsi per domani.

Berlusconi e Renzi non stanno facendo questioni di nomi. Tocca al presidente del Consiglio scegliersi la squadra e definire quanto sarà tecnica o politica, in che misura e miscela. Avranno ministri? Se il governo ha una quota politica chiaramente sì. Non è però questo il centro della questione. Ricorrono per Forza Italia i nomi di Antonio Tajani e, come tecnico, di Guido Bertolaso. Non arrivano da Berlusconi. Sono quelli più facili da immaginare. Renzi e Boschi non vogliono un ministero? Forse sì, ma senza fretta. Non certo tutti e due insieme.

La realtà è che Draghi non ha alcuna lista pronta. Ha qualche idea, con qualcuno magari ha parlato, ma si tratta di personaggi fuori dalla cerchia dei partiti.

Si parla di Dario Scannapieco, attuale vicepresidente della Bei, o di Ernesto Maria Ruffini per i ruoli economici. Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale, per la Giustizia e di Patrizio Bianchi all'Istruzione. L'importante è sapere che al momento il toto-ministri è solo un gioco.

Buono al massimo per scommetterci su.

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