Storia e decenza ci impongono di intervenire

Possibile che si debba aspettare sempre i morti per trovare la forza di guardare in faccia la realtà? La realtà dice che si deve intervenire in Libia, ed è un dovere morale e una necessità di sopravvivenza

Storia e decenza ci impongono di intervenire

Quei due poveri nostri morti, Salvatore Failla e Fausto Piano, se potessero parlare direbbero: non fare niente, stare con le mani in mano, lasciare che ad agire siano gli altri, limitarsi a proclami, gongolarsi del plauso americano, rivendicare un comando che non esiste, fa morire la gente.Non fare la guerra, fa morire la gente. Oggi il miglior modo di fare la guerra è far smettere le guerricciole spudoratamente egoiste di francesi, inglesi, i bombardamenti alla rinfusa degli americani e coordinare un'azione seria, con obiettivi chiari, con linee di comando emanate da un punto unico e serio. Non parliamo di una qualsiasi guerra, ma quella guerra lì, ai nostri confini, con lo Stato islamico (...)(...) che si gonfia ogni giorno di più. Non farla, fa morire la gente. Lasciarla fare a quelli cui non importa nulla del popolo italiano (e del popolo libico), ci espone a rischi gravi di invasione di masse di profughi con terroristi al seguito, e alla totale perdita di influenza su un Paese africano il cui destino incide inesorabilmente sul nostro. Ma non fare e lasciar fare ora sarebbe più che mai peggio di un crimine, ma un suicidio da Italietta.

Possibile che si debba aspettare sempre i morti per trovare la forza di guardare in faccia la realtà? La realtà dice che si deve intervenire in Libia, ed è un dovere morale e una necessità di sopravvivenza. Intervenire, non tirando bombe a caso, o mescolandosi a truppe occidentali o arabe, ciascuna con un obiettivo stabilito dai rispettivi governi, e che nulla c'entrano con la pace e tanto meno coi nostri interessi nazionali. Occorre che il nostro governo prenda coscienza della responsabilità che storia e geografia assegnano al nostro Paese riguardo alla Libia. E la faccia valere, senza cincischiare, senza sedersi a tavolini e tavoloni di diplomazia azzimata e incravattata, ma davanti a carte militari. Pretendendo il coordinamento delle operazioni, ottenendo la collaborazione delle intelligence atlantiche e arabe, in armonia e col consenso strategico di Usa, Russia e Unione europea. E con l'appoggio pieno della Nato, che non si frantumi rincorrendo le tattiche infelici di Francia e Gran Bretagna, ma assecondi iniziative politiche, diplomatiche e militari (in sequenza logica, non cronologica) del nostro Paese.Il governo americano, importanti media anglosassoni, non contestati da alcuna cancelleria del globo, assegnano già da tempo all'Italia il comando indiscusso delle operazioni in Libia. E allora si proceda. Si convochino ad horas le parti in causa testé nominate, con l'orribile autorità che ci viene dai nostri poveri caduti. I quali - lo ricordiamo - non stavano in quel Paese per diporto o per fare vacanze intelligenti, ma per fornirci gas e petrolio indispensabili alla nostra vita quotidiana. E l'Italia non ha saputo proteggerli, né sapere alcunché della loro sorte, nonostante Renzi avesse proclamato che noi sapessimo tutto della Libia (senza ricordare che la nostra intelligence era stata distrutta in tutta la fascia mediorientale dalle indagini delle Procure italiane e dal discredito che ne era venuto ai nostri servizi).

La fine in cattività dei nostri due connazionali in Libia, usati come scudi umani dai guerrieri del Califfo, ci dice molte cose terribili sull'islam e su chi (Sarkozy e Napolitano in primis) ha voluto abbattere Gheddafi e gettare Tripoli e Bengasi nel caos, dà dunque un giudizio non solo sul nostro governo, ma sul pensiero dominante di tivù, giornali, intellighenzia varia, che non vogliono nemmeno porsi il problema di una guerra. Chiamiamola pure guerra umanitaria, azione di polizia internazionale, messa in sicurezza di popolazioni indifese. Ma non abbiamo più il diritto di guardare. Guardare uccide. Guardare e basta, alla fine ci lascia indifesi e in balìa delle forze del male che si pensava di acquietare con la nostra inazione.È una lezione che abbiamo fatto nostra da tempo e che invano abbiamo provato ad offrire a Renzi e Mattarella (capo delle Forze armate), ai ministri Gentiloni e Pinotti, prima che oggi ci tocchi inchinarci insieme davanti ai nostri caduti in questa guerra dello Stato islamico contro di noi. Lo scenario di questo Paese, a un tiro di razzo da noi, impone un intervento di terra, senza bombardamenti massicci, ma con un necessario coordinamento di intelligence, che sia capace di individuare l'unico nemico, che è esiguo di numero e di territori occupati, ma che è reso gigantesco dal caos. Esistono due governi, come minimo, in Libia: uno a Tobruk, l'altro a Tripoli, ciascuno dotato di esercito. Non è dato sapere quante delle 130 tribù anch'esse armate controllino realmente. Quindi c'è lo Stato islamico che occupa Sirte e Sabrata, e non è gran cosa, sono 5-7mila soldati, la più parte dei quali tenuti insieme dalla paga e non dagli ideali diabolici instillati dal Califfo.

Si aggiungono, a queste molteplici divise, truppe speciali francesi, commando inglesi, consiglieri americani, probabilmente anche russi. Poi ci sono di certo, e comandano, gli egiziani, che controllano il governo di Tobruk, riconosciuto a livello internazionale.L'Italia non c'è. I servizi italiani sono oggi visti con ostilità, ben prima dell'assassinio di Giulio Regeni, dai servizi egiziani, il Mukhabarat, poiché sospettati di avere legami privilegiati con il governo di Tripoli che fa capo ai Fratelli musulmani fuorilegge al Cairo e a Tobruk. A sua volta gli americani hanno agito contro postazioni Isis in territori tripolitani partendo da basi italiane, o con il consenso italiano, e questo rende Tripoli a sua volta diffidente verso di noi.

In questa insalata russa di interessi e di eserciti, ci vuole un Paese che indichi con chiarezza a tutti l'unico nemico: l'Isis; e il suo peggiore alleato: la confusione. E questo Paese è l'Italia. Domanda: abbiamo un governo in grado di far questo? Che Dio ce la mandi buona.Renato Farina

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