Il teatrino tattico degli alleati-nemici

E se la cosiddetta «tattica della baraonda» fosse solo un collaudato copione grazie al quale Matteo Salvini e Luigi Di Maio riescono a districarsi con abilità tra le decine di contraddizioni (...)

(...) e contrasti che affliggono il governo? Il dubbio, legittimo ormai da qualche mese, ha iniziato a prendere piede. Non solo tra le file del Pd, ma - ultimamente - anche in quel pezzo di opposizione che dentro Forza Italia si sente ancora in sintonia con la Lega.

D'altra parte, al giro di boa dell'ottavo mese di governo è lecito avere il sospetto che i due vicepremier giochino una sorta di commedia delle parti proprio per sminare al meglio contrasti e incomprensioni. Con un duplice obiettivo. Il primo è rafforzare l'esecutivo, visto che si continua ad evocare una crisi che poi non arriva mai. Il secondo, invece, è distrarre l'attenzione da una recessione che è ormai certificata da tutti gli indicatori economici. Non è un caso che l'economia sia uno dei pochi fronti su cui Salvini e Di Maio non hanno mai frizioni, a differenza di Tav, Tap, trivelle, F35, liberalizzazione delle droghe, immigrazione e chi più ne ha più ne metta. Tutti temi, insomma, che possono essere dati in pasto ai riflettori del dibattito pubblico purché si parli il meno possibile di una crisi che ci sta riportando ai disastri del biennio 2012-2013.

In effetti a Palazzo Chigi la percezione è che tra i due vicepremier il rapporto si stia conservando buono nonostante le tante polemiche pubbliche delle ultime settimane. Una circostanza che potrebbe confermare il dubbio di chi sospetta che il teatrino sia concordato. Non si vede perché, infatti, Salvini dovrebbe morire dalla fretta - come teorizza qualcuno in Forza Italia - di far saltare il banco e portare il Paese ad una crisi di governo. Cosa gliene verrebbe se non il rischio di essere additato come quello che ha tradito i patti o, ancor peggio, come colui che vuole favorire giochi di Palazzo? Senza contare che nelle sue conversazioni private con i big della Lega il vicepremier dice senza troppi giri di parole di non avere alcuna voglia di tornare ad allearsi con Forza Italia. Per due ragioni. La prima è che con Di Maio tratta ormai da una riconosciuta posizione dominante. La seconda, invece, è quella che lo stesso Salvini definisce una motivazione «strutturale». «I grillini avranno tanti limiti - ragionava tempo fa con un ministro leghista - ma almeno sono operativi. Nello stesso tempo che ci ho messo con Di Maio a decidere i nomi di tutto il governo a malapena con Forza Italia si riusciva a stabilire un candidato sindaco di un Comune di medie dimensioni». Insomma, almeno fino alle Europee del 26 maggio, Salvini pare più che intenzionato a tenere in piedi un'alleanza che non lo vincola ma gli permette comunque di restare saldamente al governo.

Con uno schema che proprio in virtù delle sue tante contraddizioni consente ai gialloverdi di pescare nell'elettorato a 360 gradi, strizzando l'occhio contemporaneamente sia a chi la vede bianca che a chi la vede nera. Non è un caso che i sondaggi continuino a quotare Lega e M5s tra il 55 e il 58% dei consensi complessivi. Una maggioranza schiacciante che Salvini e Di Maio vogliono capitalizzare proprio alle Europee.

Adalberto Signore

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