Cronache

Tre assi 5 stelle nel gioco delle parti

Tre assi 5 stelle nel gioco delle parti

Il fatto che ad oggi - a quasi nove anni dalla fondazione del M5s e a oltre due dalla morte del suo guru indiscusso Gianroberto Casaleggio - ci sia ancora qualcuno che dubita della centralità della Casaleggio Associati nelle strategie e nei processi decisionali del Movimento un po' stupisce. Comunque la si pensi sui Cinque stelle - che si sposi con entusiasmo la ventata di innegabile novità che hanno portato in una politica antiquata o che si contesti con fermezza la disinvoltura con cui repentinamente oscillano tra posizioni filopopuliste (Di Maio) e convinzioni iperprogressiste (Fico) - è innegabile che il centro decisionale del Movimento resta tuttora ancorato a Milano, nelle stanze della società che oggi Davide, figlio talentuoso di un padre senza dubbio geniale, gestisce in assoluta autonomia.

Resta dunque il dubbio. Che il governativo e filodestrorso Luigi Di Maio, il presunto rivoluzionario on the road Alessandro Di Battista e l'iperprogressista Roberto Fico non siano - per usare Luigi Pirandello - tre «personaggi in cerca d'autore». Il sospetto - legittimo ma non acclarato è invece che i tre giochino ognuno un proprio ruolo. Tutti un personaggio diverso, ma con un obiettivo comune. Che poi, semplicemente, è quello di catalizzare consenso. Perché nonostante i sondaggi registrino una costante discesa del M5s (secondo Swg il 28% dei quasi 11 milioni di italiani che il 4 marzo hanno votato per i Cinque stelle oggi non confermerebbe la scelta) il punto di caduta è che il Movimento continua sostanzialmente a tenere insieme posizioni assolutamente inconciliabili.

Sulla questione immigrazione, per dire. Che è quella su cui il governo Conte sta concentrando - non solo sul fronte interno, ma anche sul versante europeo - la sua azione. Facendo una sintesi: Di Maio è schiacciato sulla linea di Matteo Salvini (come il ministro pentastellato Danilo Toninelli, che ormai è su posizioni così nette dall'aver scavalcato a destra persino l'ungherese Viktor Orban); Di Battista si è lucidamente chiamato fuori e dal suo «remunerato» viaggio negli Stati Uniti posta sui social media foto ineccepibilmente bipartisan; Fico agita invece la rivolta, tentando di raccogliere il fronte di sinistra del M5s.

Il punto è capire se quel fronte esiste. Se davvero il M5s è spaccato su posizioni diverse e così lontane. O se, più semplicemente, Di Maio, Di Battista e Fico si stanno banalmente «muovendo per non spostarsi». Esattamente come vorrebbe la Casaleggio e associati. E continuando a raccogliere i voti che arrivano da destra e da sinistra. Un'operazione ambiziosa e contro la quale giocherà necessariamente un ruolo centrale il tempo. Gestire un equilibrio così sottile è cosa che può reggere qualche mese, ma che difficilmente supererà indenne la campagna elettorale delle Europee 2019 e, magari, qualche situazione critica in questa estate di sbarchi e porti chiusi. In quanto a capacità di comunicazione, però, i Cinque stelle ci hanno già abituato a sorprese inattese e dunque tutto è possibile. Anche far convivere sotto lo stesso tetto posizioni così lontane e inconciliabili come quelle di Di Maio e Fico sull'immigrazione. D'altra parte, dall'entourage del presidente della Camera non esitano a ricordare che il rapporto con il vicepremier è cordiale e i contatti sono frequenti. Una gentilezza che dal ministero dello Sviluppo economico ricambiano con convinzione. Tutto a posto, insomma. Se poi l'elettorato del M5s condividerà e comprenderà queste «divergenze parallele» dei loro leader lo vedremo più avanti. In molti scommettono di no, primo fra tutti il governatore del Lazio Nicola Zingaretti che tre giorni fa nel lanciare la sua corsa alla segreteria del Pd ha iniziato a strizzare l'occhio proprio ai delusi M5s, convinto che il Movimento sia destinato a «disarticolarsi».

Si vedrà. E sarà allora che riusciremo a sciogliere anche il dubbio sulla bontà delle «divergenze parallele» tra Di Maio, Fico e Di Battista e sul ruolo della Casaleggio Associati. D'altra parte, la strategia del doppio binario non l'hanno inventata certo i Cinque stelle. Uno dei più grandi teorici, per dire, è stato Umberto Bossi, che con la sua «Lega di lotta» e «Lega di governo» ha tirato avanti anni a conciliare la permanenza del Carroccio nella maggioranza di governo e il movimentismo da partito di opposizione. Alla fine, però, la Lega ha pagato dazio ed è crollata ai minimi termini prima che Salvini la risollevasse.

Chissà se anche il M5s è destinato a una fine analoga.

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