Coronavirus

Vaccini anti-Covid, una o tre dosi? Ecco il nuovo rebus

Nonostante i protocolli dicano che sono necessarie due dosi di vaccino, si va verso l'assunzione di una o tre dosi in alcuni casi specifici: ecco il parere di due esperti su come potrà cambiare la vaccinazione anti-Covid

Vaccini anti-Covid, una o tre dosi? Ecco il nuovo rebus

Una, due o tre? Non è uno dei celebri giochi di Mike Bongiorno quando l'indimenticato presentatore chiedeva ai propri concorrenti di indicare una busta per giocare sempre con l'articolo determinativo "la" prima di ogni numero. In questo caso la situazione si fa più seria di un quiz televisivo e riguarda le dosi dei vaccini messi a punto contro il Covid-19.

Come dovrebbe essere

L'emergenza di vaccinare la maggior parte della popolazione il prima possibile e le varianti del Sars-Cov-2 stanno facendo rivedere i protocolli messi a punto per la vaccinazione: Pfizer e Moderna hanno condotto i trials clinici con due dosi da somministrare a tre settimane di distanza l'una dall'altra; stesso discorso per AstraZeneca ma la seconda dose va somministrata in un lasso di tempo compreso tra 4 e 12 settimane dalla prima. Quello russo, Spuntik V, segue il protocollo della seconda dose dopo 21 giorni e la stessa cosa vale anche per il francese Sanofi Gsk. Per Curevac, invece, la seconda dose è prevista dopo 28 giorni la prima mentre quello della Johnson & Johnson è uno dei pochi ad essere monodose. Questo è l'elenco dei vaccini che ha acquistato l'Italia, alcuni dei quali sono già disponibili (i primi tre) mentre gli altri arriveranno prossimamente. C'è anche quello tutto italiano della ReiThera, in ritardo sulla tabella di marcia ma che da settembre potrebbe essere disponibile alla somministrazione, anch'esso con un'unica dose.

Cosa cambia: una sola dose, a chi?

Ciò che potrebbe cambiare, però, ed è il vero nocciolo della questione, riguarda le dosi: in alcune circostanze potrebbe bastare la somministrazione soltanto di una dose mentre in altre situazioni potrebbero volercene addirittura tre. Proviamo a fare un po' di chiarezza: i protocolli internazionali, al momento, restano quelli dettati dalle aziende farmaceutiche che hanno condotto i trials clinici ma l'emergenza Covid potrebbe cambiare velocemente le carte in tavola. In Inghilterra, ad esempio, si procede spediti con una sola somministrazione per cercare di mettere un primo freno alla pandemia e lo stesso discorso potrebbe presto valere anche in Italia ma soltanto per le persone che hanno già avuto la malattia ed hanno sviluppato gli anticorpi protettivi. Soltanto in quei casi si potrebbe adottare il modello inglese perché una singola dose di vaccino potrebbe fornire una protezione altamente efficace.

"Troppe chiacchiere...il mio personale convincimento è che per una persona ha avuto l'infezione sintomatica durante la prima ondata pandemica della scorsa primavera, oppure tra ottobre e novembre, può essere sufficiente fare soltanto una dose", afferma in esclusiva per il nostro giornale il Prof. Pasquale Ferrante, virologo e Direttore sanitario della struttura Istituto Clinico Città Studi di Milano. "Abbiamo visto che, pur non dando effetti collaterali importanti, chi è stato vaccinato con la seconda dose ed era stato infettato in precedenza ha avuto degli effetti più marcati come febbre e dolori locali. Quindi, probabilmente, una sola dose potebbe bastare". Il Prof. Ferrante ci spiega come funziona la virologia 2.0, nata con l'emergenza pandemica da Covid- 19. "Questo approccio risponde ad una domanda: nella vecchia virologia, se avessi avuto il morbillo mi sarei vaccinato contro il morbillo? La risposta è no. Nella nuova virologia, siccome sappiamo poco del Sars-Cov-2, abbiamo deciso di vaccinare anche chi ha sviluppato la malattia da Covid-19. L'esperienza, però, ci porta a dire che sia possibile limitare ad una sola dose la vaccinazione nei soggetti che hanno avuto una franca, chiara e sintomatica malattia nei mesi precedenti", dice l'esperto.

"Controllare i titoli anticorpali"

Ma come si fa a sapere quanti anticorpi sono rimasti dopo l'infezione contratta alcuni mesi prima o nella scorsa primavera, quindi ormai un anno fa? "Chi ha avuto l'infezione deve fare il titolo anticorpale per vedere a che punto è la sua immunità verso il virus: se il titolo è alto si può anche aspettare, se è medio-basso ci si può vaccinare perché la vaccinazione altro non fa che aiutare a stimolare più anticorpi", afferma al giornale.it il Prof. Massimo Ciccozzi, epidemiologo dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Il titolo anticorpale è la misura di quanti anticorpi ha prodotto un organismo nei confronti di un antigene, in questo caso del virus Sars-Cov-2, e si può misurare con delle semplici analisi al sangue. L'esperto ci spiega anche che funzione hanno, esattamente, le due dosi: "la vaccinazione va fatta secondo protocollo, nè una nè tre. La prima dose serve a stimolare le cellule a memoria corta, la seconda dose va a stimolare quelle a memoria più lunga che sono già entrate, in parte, in gioco con la prima dose - afferma Ciccozzi - L'analogia è con una partita di calcio, due persone che stanno in panchina e devono entrare: se uno non si scalda e va in campo a freddo, non entra subito in partita. Se, invece, l'altro si riscalda prima, quando entra in campo è pronto e reattivo".

Da una a tre dosi, ecco il "booster"

Spiegato il motivo di una dose, adesso c'è apprensione per le mutazioni del virus che non garantirebbero l'efficacia dei vaccini messi a punto prima dell'arrivo della variante inglese, di quella brasiliana e della sudafricana (la più pericolosa). Ecco che i protocolli vaccinali con due dosi potrebbero essere rivisti e prevedere una terza dose di rinforzo chiamata "booster", cioè un'immunizzazione aggiuntiva di richiamo. Moderna e Pfizer si stanno già attrezzando. "Stiamo ragionando sulla possibilità di somministrare una terza dose (booster) del vaccino sviluppato sulla sequenza originaria. Dopo la somministrazione, l’organismo produce anticorpi diretti verso molte parti della proteina Spike: una variante può sfuggire in alcuni punti, ma non in tutti", ha dichiarato Noubar Afeyan, cofondatore e presidente di Moderna in un'intervista pubblicata dal Corriere. Ed è notizia di poche ore fa la stessa decisione adottata anche da Pfizer-BioNtech che hanno avviato uno studio per vedere se una terza dose del loro vaccino anti Covid-19 già autorizzato aumenterebbe l'efficacia contro le nuove varianti come il ceppo identificato per la prima volta in Sudafrica. L'amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, in un'intervista rilasciata alla NBC News, ha detto che la speranza è che una terza dose aumenti ulteriormente la risposta immunitaria offrendo una migliore protezione contro le varianti. "Crediamo che la terza dose aumenterà la risposta anticorpale da 10 a 20 volte".

"Il rinforzo garantisce la protezione"

"Le mutazioni che stiamo vedendo e che spaventano le persone possono conservare una 'cross reattività antigenica', se cioè fosse anche cambiato l'antigene (una molecola, ndr) sarebbe comunque rimasto abbastanza simile all'altro. Quindi, se faccio un'altra dose ho un booster di immunità, cioè un rinforzo dell'immunità che probabilmente è sufficiente a garantire una protezione anche contro la mutazione del virus, che non è del tutto diversa ma è abbastanza diversa", ci spiega il Prof. Ferrante. "Anche questo è un ragionamento che, scientificamente, ci sta ma poi bisogna pianificare degli studi per vedere se quello che ci sembra valido da un punto di vista teorico, perché ha basi scientifiche, lo è anche nella realtà".

"Terza dose con pochi anticorpi". La terza dose andrebbe somministrata anche qualora si riscontrassero meno anticorpi del previsto dopo le due dosi, quindi dopo aver completato l'iter della vaccinazione, a causa delle varianti del Covid-19. "Probabilmente la terza è la dose booster nel caso in cui la seconda dose abbia prodotto meno anticorpi, è una dose aggiuntiva nel caso in cui ci sia poca risposta a livello anticorpale perchè la variante potrebbe ridurre l'efficacia del vaccino. Per aiutarla si dà una terza dose, booster, in più. Ma si fa sempre dopo aver fatto il titolo anticorpale", afferma il Prof. Ciccozzi. Quindi, bisogna tenere sotto controllo la produzione dei nostri anticorpi con un piccolo prelievo al sangue: soltanto in questo modo si può avere contezza di quante difese ha alzato il nostro organismo contro il Coronavirus. "La terza dose si ipotizza soltanto se il titolo anticorpale, dopo un mese dalla seconda dose, crollasse per qualunque motivo o perché una persona è un 'non responder', cioè risponde male allo stimolo del vaccino. A quel punto si prova a dare una terza dose per vedere se si riesce a stimolare di più.

Ma solo per quel motivo", conclude l'epidemiologo romano.

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