Coronavirus

"Vi racconto la rivolta nelle carceri"

Il racconto dell'avvocato Davide Steccanella: "Un dramma prevedibile, purtroppo ce ne siamo accorti oggi. Il sistema penitenziario italiano accoglie 61mila detenuti invece di 50mila"

"Vi racconto la rivolta nelle carceri"

9 marzo 2020, la giornata bestiale dei penitenziari e dai contatti concitati con i colleghi impegnati sui vari fronti della rivolta. Milano, Roma, Siracusa, Rieti, Foggia, Aversa, Prato, Melfi, Alessandria, Bologna, Reggio Emilia, Modena, Napoli, Salerno, Palermo, Santa Maria Capua Vetere, Frosinone, Cassino, Lecce, Bari, Vercelli: 7 detenuti morti, 77 evasi, 54 catturati, 23 ancora in circolazione, infermerie penitenziarie assaltate e svaligiate, danni ingenti alle strutture. Le fiamme che si sono levate dal carcere di San Vittore a Milano sono la fotografia impietosa di un sistema con troppi nodi ancora irrisolti.

“Un dramma prevedibile, purtroppo- dice l’avvocato penalista Davide Steccanella- ce ne siamo accorti oggi. Il sistema penitenziario italiano accoglie 61mila detenuti invece di 50mila. Una situazione del genere non esplode tutti i giorni grazie al volontariato, alla magistratura di sorveglianza, al sistema dei permessi e dei benefici di legge e anche al sacrificio della polizia penitenziaria. Se lo Stato italiano ha varato norme d’emergenza per il coronavirus per tutti i cittadini, ci dev’essere un adeguamento progressivo e rapido anche dei cittadini detenuti a queste norme. I detenuti sono cittadini, non topi in gabbia, prigionieri del virus! Un mio assistito di 74 anni, quindi un soggetto a rischio di contagio, si è visto revocare dall’oggi al domani un regime di semilibertà (esce la mattina, rientra la sera alle 11) di cui usufruisce dal 1997! La verità è che ieri poteva essere una strage di tipo sudamericano con decine di vittime! E non si racconti la balla dei cittadini agli arresti domiciliari e dei detenuti a piede libero: gli evasi possono essere riacciuffati in breve tempo e il rischio contagio all’interno dei penitenziari è evidente. Basti pensare alle perquisizioni quotidiane effettuate dal personale di polizia penitenziaria sui detenuti. Non oso pensare a cosa potrebbe accadere se un focolaio di coronavirus si accendesse all’interno di un carcere. I detenuti morti? Se, come pare, si tratta di tossicodipendenti (ma non lo sappiamo ancora con certezza), è una conferma del fatto che questa categoria di persone non deve stare in galera. 50 anni fa la radicale Adelaide Aglietta disse che il grado di civiltà di un Paese si misura dallo stato delle carceri; se è vero, in Italia siamo al medioevo”.

A fatica la situazione è stata riportata alla normalità. Ora si contano i danni e si spera. 61mila detenuti, 37mila effettivi della polizia penitenziaria; nell’emergenza da coronavirus non si può ragionare a freddo di un sistema che non riesce a trovare una sua “quadra”, nonostante amnistie e indulti, ma anche condanne per violazione dei diritti umani.

Tutto resta avvolto dal fumo nero che ieri si è levato da San Vittore, oscurando il cielo di Milano.

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