Da Cuba all’Arabia tutti amici della Cina per armi e tangenti

Succosi contratti per il petrolio o le risorse minerarie, alleanze politiche anti americane, timori interni, forniture di armi e rapporti di vecchia data hanno spinto 16 paesi a boicottare l’assegnazione del Nobel per la pace al dissidente Liu Xiaobo detenuto nelle galere cinesi.
Uno dei casi più incredibili è l’Afghanistan, che si regge su 140mila baionette della Nato. Il governo di Kabul non ha mandato nessuno al Nobel, perché la Cina è un potente e magnanimo vicino. Talmente buono che avrebbe pagato una trentina di milioni di dollari in tangenti per aggiudicarsi lo sfruttamento del grande giacimento di rame di Aynak, il secondo, ancora inesplorato, al mondo. Pechino sborserà 3 miliardi e mezzo di dollari per lo sfruttamento delle risorse minerarie afghane. Si tratta dell’investimento straniero più importante, che porterà 1,2 miliardi di dollari l'anno nelle casse di Kabul.
L’Irak, un altro Paese dove gli americani hanno versato lacrime e sangue, ha pensato bene di non onorare il premio Nobel in galera. La Cina si è sempre schierata contro l’invasione del regno di Saddam e ha fregato gli americani nella spartizione della torta petrolifera. Dal 2007 i cinesi si sono aggiudicati tre degli 11 contratti banditi da Bagdad per aumentare del 450% l’estrazione di petrolio. Il colpo gobbo sono state le concessioni per 20 anni sulla riserva di Rumaila, una delle più vaste al mondo.
Nella stessa area geografica non poteva mancare il boicottaggio di Teheran a un dissidente, che un domani potrebbe essere iraniano, invece che cinese. Gli ayatollah tengono ben di più all’appoggio politico di Pechino nei posti che contano, come il Consiglio di sicurezza dell’Onu. La Cina ha sempre attenuato le sanzioni all’Iran per il nucleare. Pechino investe nel gas iraniano e lo scambio commerciale fra i due Paesi arriverà a 50 miliardi di dollari nel 2015. Non solo: i Guardiani della rivoluzione iraniani hanno fatto incetta di armi cinesi, compresi un migliaio di missili anti aerei e anti nave.
La Russia non ci ha pensato due volte a snobbare il Nobel in nome di quell’asse asiatico con la Cina che si contrappone agli americani. Oltre il 25% delle esportazioni militare di Mosca vanno a finire all’esercito popolare cinese. Il 23 novembre scorso il primo ministro russo, Vladimir Putin, e il premier cinese Wen Jiabao, hanno annunciato che useranno le loro rispettive valute, al posto del dollaro, per gli scambi bilaterali.
Pechino pesca adepti anti Nobel fra gli stessi alleati degli Stati Uniti. L’Arabia Saudita è più interessata ai 32 miliardi e mezzo di scambi con la Cina, piuttosto che ai diritti umani. Quest’anno i sauditi hanno venduto un milione di barili ai cinesi, superando l’esportazione con gli Usa.
Il Pakistan ama la Cina perché è rivale dell’India, l’atavico nemico. Il presidente Hu Jintao ha descritto così le relazioni con Islamabad: «Più alte delle montagne e più profonde degli oceani». L'ultimo progetto militare comune riguarda un caccia bombardiere. Pechino ha costruito l’enorme porto pachistano di Gwadar, che dovrebbe fare concorrenza a Dubai e aiutato Islamabad a costruire alcuni suoi reattori nucleari. In Asia altri Paesi minori come il Vietnam, perché sono rimasti comunisti o il Kazakhstan, che fa parte dell’alleanza per la sicurezza di Shanghai con la Cina, hanno disertato la cerimonia di Oslo.
Ma Pechino ha trovato alleati anche dall’altra parte del mondo. Il Venezuela di Hugo Chavez è il Paese sudamericano dove i cinesi investono di più. Comprano petrolio e offrono di tutto, compresi due squadroni di jet d’addestramento e il lancio del primo satellite comune.
Cuba, dopo essere rimasta orfana dell’Urss, ha chiesto soccorso alla Cina. Pechino mantiene in piedi il regime aiutandolo nei trasporti e nell’energia. Raoul Castro sogna di imitare la Cina: partito unico ed economia occidentale.
Sull’altra sponda del Mediterraneo i cinesi coltivano rapporti talmente storici da non avere problemi ad ottenere un no al premio Nobel. Il Marocco ha addirittura stampato un francobollo per onorare i 50 anni di relazioni con Pechino. La Tunisia è una protetta della Cina. In Algeria gli investimenti in infrastrutture sono tali, che ci sono 50mila lavoratori cinesi. Con l’Egitto il patto d’acciaio è nato nel 1956, quando Nasser andò al potere in nome del socialismo arabo. Pure l’Autorità nazionale palestinese ha disertato il premio Nobel in nome dell'appoggio che Pechino ha sempre garantito alla causa anti israeliana.
Il vero stato vassallo, in prima fila nel boicottaggio, è il Sudan. La Cina utilizza almeno la metà del petrolio sudanese e rifornisce di armi il governo di Kartoum. Il Paese è invaso da società cinesi.

Pechino ha difeso il Sudan anche nel terribile genocidio del Darfur, che è costato un mandato di cattura internazionale al presidente Omar al Bashir. I cinesi non solo si oppongono al suo arresto, ma si sono premurati di costruire e regalargli il nuovo palazzo presidenziale a Kartoum.
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