Non è facile capire in che direzione evolva la geopolitica del Medio Oriente. Basti l'esempio più lampante, dopo il lunghissimo conflitto in Iraq e l'inutile tentativo di esportare il modello democratico in quel Paese, ora ci troviamo a fronteggiare l'ascesa del sedicente Stato Islamico dell'Iraq e del Levante. Per la precisione si tratterebbe di un Califfato con Abu Bakr al-Baghdadi (un signore che ha fatto fuori i «moderati» terroristi di Al-qaida) che tenta di saldarsi in una grande alleanza sunnita con i ribelli siriani. Già il termine Califfo, ovvero successore di Maometto, rende l'idea di quanto, almeno formalmente, il mondo islamico sia orientato verso il passato, piuttosto che verso il futuro. Come se in Europa si scatenasse un qualche movimento armato intenzionato a ricreare il Sacro Romano Impero. Ovvio, poi, che a un fondamentalismo di facciata si saldino interessi politici più moderni, che nulla hanno a che vedere con il ritorno alla Umma (la comunità dei credenti). Per cercare di farsi un'idea più chiara possono aiutare i brevi, ma densi, saggi appena pubblicati dal trimestrale Rivista di Politica diretto da Alessandro Campi. A esempio l'articolo di Paola Rivetti, La variabile scita e la politica regionale in Medio Oriente , mette in luce come: «Il contrasto tra l'Islam sciita e quello sunnita viene spesso indicato come fattore decisivo dei conflitti in Medio Oriente. In realtà più delle identità religiose sembrano contare le ambizioni egemoniche che sull'area vanno manifestando Paesi quali l'Iran e l'Arabia Saudita». E poi la giovane studiosa si focalizza proprio su quanto questi rapporti di forza contino. Se al tempo della rivoluzione Iraniana Teheran era considerata una potenziale minaccia, e non solo dagli occidentali, ora la sua capacità di espansione e attrazione sembra ridotta. Per gli americani è diventata un partner molto più ragionevole di altri, nonostante le tensioni mai sopite. L'analisi della Rivetti non arriva all'oggi ma è ovvio che questo è ancor più vero dopo l'ascesa del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi.
Altri saggi illustrano in maniera specialistica la situazione di alcune zone «calde». Come quello di Rosita di Peri, I movimenti islamisti radicali in Libano: Non solo Hizbullah . Il lavoro della di Peri mette in luce come in quel Paese si stiano sviluppando moltissimi movimenti sunniti che fanno concorrenza al radicalismo sciita di Hezbollah. Insomma, i sunniti che erano una delle forze dominanti della macedonia etnico-religiosa libanese non ci stanno ad aver perso rilevanza e questo li spinge nelle braccia di movimenti radicali. Un pericolo in questo momento forse che sfugge agli occidentali, monopolizzati dal conflitto israelo-palestinese. Invece su Il salafismo in Egitto tra moderazione e pragmatismo . I casi di al Nur e Hizb al-Tahir sono intervenuti Pietro Longo e Marco di Donato. Il cuore del loro articolo dimostra che chi pensava che la religiosità islamica si sarebbe trasformata in un fatto privato, come in Occidente, almeno per quanto riguarda l'Egitto ha preso un abbaglio.
La speranza, spiegano Longo e Di Donato, è che, anche nelle forme radicali, l'islam «permette margini interpretativi così ampi da garantire il pluralismo». Speriamo abbiano ragione. Perché, a partire dai tentativi di tornare al califfato, proprio non pare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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